Oltre la foresta nera

Ieri mi sono imbattuto in questo interessante post e conseguente teoria. Su come l’Internet sia profondamente cambiato e per chi, come me, c’è dall’inizio delle prime interazioni online determinate da piattaforme sia complicato ritrovare se stessi in una dimensione ormai impazzita.

When I used the internet as an actual adolescent in the 1990s and as a young adult in the 2000s, this wasn’t the case. I blogged everyday. Message boards were how I learned to test theories and debate ideas. These communities were small enough that people knew each other, but big enough that there was diversity of opinion and conversation. You could vehemently disagree with someone about politics in one thread while agreeing just as passionately with them about movie sequels in another.

I had no problem being myself online then. But now it feels different.

A lot of this difference is on me. I’m older. I have more at stake. But it’s not just me that changed. The internet did too. The internet went from a venue for low stakes experimentation to the place with some of the highest stakes of all. With the rise of online bullying,, and even, the internet became emotionally, reputationally, and physically dangerous. It became the dark forest. Our digital selves became evidence that could and would be used against us. To keep safe we exercised our right to stay silent and moved underground.

Internet è diventata una foresta nera, complicata da discernere e comprendere, difficile, per chi la abita, districarsi ed essere sé stessi.Un tema a me assai caro. E diretta conseguenza dell’avvento sei social network, dove l’apparire conta più dell’essere. Ed essere sé stessi diventa una faccenda tremendamente complessa. Io ho adottato una soluzione simile a chi ha scritto il post.Scrivere quotidianamente, sul blog, per me è una medicina fenomenale per essere sempre di più e apparire sempre di meno.

There’s tremendous value in coming into yourself as a person. Why wouldn’t that be true online, too? Recognizing that my online self was lacking, I made a commitment to learn how to be myself on the internet.

I started with a simple exercise. For one week, I would tweet twice a day. (Normally I tweet about once a month.) I wouldn’t try to impress or be cool. I would try to be real and share what was actually on my mind.

The next step in my digital self-acceptance was to try sharing my dark forest self with the larger internet. After sending my last email about the dark forest, I posted it on Medium. I wasn’t expecting a response, but the piece blew up. In the last two weeks, more than 100,000 people read it around the world.

The dark forest theory struck a chord. And it’s no wonder: many of us struggle to be ourselves online. We’re wary of showing who we really are outside our dark forests. But we’re also learning there are trade-offs. Our dark forests can become black domains with little connection or influence on the outside world.

E Stadia Fu

Finalmente alle porte dell’E3 2019, Google risponde a parecchie domande sortemi dopo l’annuncio di Stadia dello scorso 20 marzo.

  • Il costo del servizio è variabile e alquanto confuso sui contenuti offerti. Il che lascia spazio a molte altre domande. Al momento i tagli sono due Stadia Pro a un prezzo mensile di 9,99 € il quale sembra dare accesso a una serie di giochi gratuiti sullo stile di Game Pass di Xbox. Stadia Base invece permette di accedere gratuitamente alla piattaforma, ma è necessario acquistare singolarmente i giochi.
  • La domanda spontanea è: nel primo tier si ha accesso a tutta la libreria o solo a una selezione di giochi e poi sarà comunque necessario acquistare titoli AAA?
  • Specifiche di connessione. L’infografica di seguito è molto esplicita. E per gran parte dell’Italia sarà un bel bagno di sangue.

Google Stadia

Ieri pomeriggio durante le battute iniziali della GDC 2019, Google tira fuori dal cilindro Stadia. Unisce i puntini dei tanti servizi, ma soprattutto infrastrutture, ad oggi messe a disposizione del mercato consumer e non, e li mette al servizio di un concetto di gaming sicuramente non rivoluzionario (OnLive, Project xCloud e PS Now), ma che al momento non ha ancora visto una sua forma compiuta: sfruttare la potenza di un hardware remoto e l’ampiezza di banda della Rete attraverso il cloud per raggiungere qualsiasi gamer in qualsiasi luogo del mondo purché davanti ad uno schermo connesso, un pad in mano, ma soprattutto una connessione decente.Quindi non davvero dappertutto. [youtube https://www.youtube.com/watch?v=vsaenNSjclY?feature=oembed]

Le premesse e i mezzi tecnici teoricamente ci sono tutti. E al di là un naming decisamente discutibile, Google attua almeno a livello concettuale, mostrato con pochi secondi di demo pad alla mano, il sogno di ogni gamer, liberarsi dalla “schiavitù” della precoce obsolescenza di una componente PC o console e pensare solo e unicamente a giocare.Interrompendo su uno schermo e riprendendo a giocare nell’esatto punto su un altro. Il tutto accessibile tramite un link. Un link per condividere un salvataggio, un link per farsi raggiungere online da un amico, un link per guardare il gameplay di uno YouTuber e iniziare a giocare proprio da quel punto preciso. Non inventa nulla di nuovo Google, i checkpoint in un gioco e i salvataggi esistono da una vita, caratterizzarli come ipertesto raggiungibile in qualsiasi frangente è il vero punto di forza innovativo.Una logica stuzzicante. Tutto deve essere condiviso. Ora e subito. In puro stile YouTube, tanto che il controller pensato da Google, il vero e unico hardware presentato oggi ma con un design già vecchio e troppo simile a quello PlayStation, avrà integrato sia un bottone per lo sharing istantaneo di un frame o di un video di quanto giocato, ma anche un altro per richiamare Google Assistant e farsi aiutare a superare un punto particolarmente difficoltoso all’interno di un videogioco. Un pad wireless ha un più alto “secondaggio” di latenza rispetto a un pad con filo, e questo giocherà un ruolo ancora più importante in un servizio del genere.L’hardware remoto powered by AMD promette di essere più potente più di PS4 Pro e Xbox One messe insieme. Permettendo di giocare in 4K e a 60 fps con già in programma di arrivare a 8K e 120 fps in una seconda fase, salvo ovviamente che si abbia una connessione decente, altrimenti il gioco sarà scalato a 720p. Sebbene non ci fossero titoli degni di nota e comunque già visti sulle console dei competitor, Google oltre ad aver annunciato l’apertura di una divisione dedicata a titoli first party si è detta più che aperta a sperimentazioni cross play con altre console.Fin’ora tutto bello. Ma è qui che iniziano le domande ostiche, alle quali ancora non si hanno risposte, ma immagino e spero che l’E3 di giugno possa diradare gli aspetti oscuri della faccenda:

  • Qual è il costo del servizio?
  • Ci sarà un abbonamento o si pagherà l’acquisto o il noleggio di un singolo gioco?
  • Quali sono i requisiti minimi di banda da avere per poter accedere decentemente al servizio e non vedere a video ciò che accade realmente 1–2 secondi dopo?
  • Quanto sarà difficile fare porting di giochi da Sony o Microsoft ad esempio, ad oggi con basi installate notevolmente più grandi?
  • Quanto dobbiamo fidarci sulla longevità e mantenimento di un servizio Google? La storia recente ha strascichi importanti in tal senso (Google+ o Google Reader giusto per citarne un paio)

Domande fondamentali per il successo o la morte prematura di una rivoluzione tanto attesa in un mercato in costante ascesa.

Un blog ti cambia la vita parte 2

L’ultima volta del Trono

Uno streaming per domarli tutti

Dettare

Ho recentemente acquistato il mio primo paio di AirPods. Pensavo di sentirmi uno stupido con quegli aggeggi dal design bizzarro e probabilmente disegnati tramite un’accetta, e invece sto iniziando ad usarli sempre di più:

  • Telefonando. Io cammino costantemente durante le telefonate. Ovunque sia, per parlare al telefono, io cammino. Le AirPods sono un aiuto non da poco, posso alzarmi dalla sedia e passeggiare dimenticandomi il telefono sulla scrivania
  • iPad Pro. Con il nuovo iPad che ha solo un’uscita USB-C o compri una cuffia apposta, o ti affidi a quelle bluetooth. Anche qui cascano a fagiolo. Metti che in una serata ci dividiamo gli schermi, io mi infilo le AirPods e mi guardo la qualsiasi da iPad

Ma arriviamo a uno spunto ulteriore al quale non avevo pensato. In effetti faccio uno sporadico utilizzo dei comandi vocali e di Siri in genere, forse solo abitudine, ma ancora non riesco bene ad automatizzare i processi. Leggevo questa column sul NY Times. Invece di scrivere fisicamente gli articoli, questo giornalista sfrutta soltanto la voce e due app dedicate in grado di registrare e sbobinare:

Here’s what I do: Instead of writing, I speak. When a notable thought strikes me — I could be pacing around my home office, washing dishes, driving or, most often recently, taking long, aimless strolls on desolate suburban Silicon Valley sidewalks — I open, a cloud-connected voice-recording app on my phone. Because I’m pretty much always wearing wireless headphones with a mic — yes, I’m one of those AirPod people — the app records my voice in high fidelity as I walk, while my phone is snug in my pocket or otherwise out of sight.

And so, on foot, wandering about town, I write. I began making voice memos to remember column ideas and short turns of phrases. But as I became comfortable with the practice, I started to compose full sentences, paragraphs and even whole outlines of my columns just by speaking.

Then comes the magical part. Every few days, I load the recordings into, an app that bills itself as a “word processor for audio.” Some of my voice memos are more than an hour long, but Descript quickly (and cheaply) transcribes the text, truncates the silences and renders my speech editable and searchable. Through software, my meandering memos are turned into a skeleton of writing.

The text Descript spits out is not by any means ready for publication, but it functions like a pencil sketch: a rough first draft that I then hammer into life the old-fashioned way, on a screen, with a keyboard, lots of tears and not a little blood.

Non credo arriverò a questo grado di complessità, anche perché non faccio il giornalista di professione, ma spesso mi capita che le idee migliori per i miei post mi vengano in auto mentre sto guidando, o prima di addormentarmi dove mi sta calando la palpebra e non ho più le forze di scrivere.Forse iniziare ad usare la voce mi aiuterebbe a non dimenticarmi dell’80% dei contenuti che invece avrei scritto qui.E voi come sfruttate la voice recognition?

Sono i social network a dover cambiare o le persone?

Gli ultimi giorni sono stati particolarmente interessanti. Con quanto successo sulla pagina facebook INPS e con l’intervento del CEO di Twitter a una conference TED, ho voluto mettere insieme un po’ di argomenti.

Sono i social network a dover cambiare?

Montemagno pensa siano le piattaforme a doversi dotare di misure drastiche, essere ripensate dalle fondamenta per non consentire la divulgazione di qualsiasi opinione trattata alla stregua di un premio Nobel. Jack Dorsey dal canto suo ci ha messo la faccia, contrariamente a quanto fa Zuckerberg, senza promettere una soluzione, ma riflettendo sui problemi endemici della sua piattaforma e comprendendo quanto di possibile si possa fare per riportare Twitter ad un livello di vivibilità e civiltà accettabili.

Oppure dovrebbero essere le persone a dover cambiare il modo di approcciarsi al resto del mondo una volta dotati di tastiera?

La mia risposta sta nel mezzo. Un po’ come si punivano gli hooligans in Gran Bretagna qualche decennio fa, le piattaforme dovrebbero cercare di debellare gli utenti in grado di generare solo insulti e odio. Il problema vero è che quest’ultime non funzionano come uno stadio. Morto un account, ne nasce un altro.Partire dall’educazione? Facile a dirsi, ma nella pratica ho assistito a esternazioni allucinanti da persone culturalmente elevate, ma probabilmente l’impunità va a risvegliare gli istinti più gretti dell’uomo.Nell’originaria e originale idea alle fondamenta dei social network, perlomeno quelli più frequentati al momento, ci sarebbe dovuta essere la pacifica circolazione delle idee, azzerare le distanze, facilitare la creazione di comunità. È ormai palese che una ben bassa percentuale di questi sfarzosi concetti è oggi riscontrabile in una qualsiasi conversazione su una di queste piattaforme. La costruzione dell’ego, l’importanza dei numeri rispetto ai contenuti, l’apparenza sopra l’essenza sono i veri protagonisti invece.Dovremmo forse semplicemente accettare un concetto molto semplice. Le persone sono molto brave ad esser stronze e fare schifo quando gliene dai la possibilità. E più restano impuniti, più possono agire protette dall’anonimato, più il concetto di 1 vale 1 diventa diffuso, maggiori sono le possibilità di terminare nella deriva dell’insulto e dell’intolleranza.Sospetto ci sarà un gran lavoro da fare in tutti i sensi. Sia dal punto di vista di accesso e interazione in questi luoghi così familiari eppure così estranei, così come da quello della comprensione intrinseca degli stessi. La rilevanza di cui li carichiamo è commisurata a una qualità di vita migliore o semplicemente a diventare animali sociali di tutto rispetto?Mi sono dato una risposta molto tempo fa. Allontanandomi dalla partecipazione attiva perché l’80% delle volte si tratta di assenza di valore e di contenuti immeritevoli della mia attenzione. I miei profili resteranno attivi per ragioni di studio, approfondimento e lavoro. Ma sono conscio del fatto che ciò sta al di fuori di questo dominio internet, difficilmente sia in grado di dire chi io sia e altrettanto non è in grado di darmi una giusta percezione del mondo e di chi lo abita.Lo spazio per l’approfondimento è, ad oggi, e fortunatamente, altrove.

Fatalità

+ People. La parte più divertente del mio lavoro, e negli anni ho imparato a considerarla tale, è assistere ad incontri con persone all’apparenza molto carismatiche, si sono costruite negli anni uno standing e un’aura più che invidiabile, si circondano di VIP, ti guardano dall’alto al basso come se fossero investite di un potere divino, delegano a fidi galoppini qualsiasi attività esecutiva. Ma soprattutto hanno i minuti contati, durante i quali hanno il compito di lanciare una bomba, un’idea rivoluzionaria nella stanza in cui si trovano per poi far finta di avere un’agenda piena di appuntamenti con le più alte cariche delle prime 10 aziende del mondo, e quindi scusami tanto ma mi hai già fatto perdere troppo tempo io me ne devo andare.Ho imparato a divertirmi in queste situazioni. Forse da giovane avevo soggezione di persone del genere, perché chissà mai quale esperienza avessero per comportarsi in questo modo. Poi col tempo mi sono reso conto che poi le loro idee tanto rivoluzionarie non sono, che son state solo molto brave a far credere a chi gli giro attorno di essere su un gradino più alto del processo evolutivo.Una maschera da indossare per sentirsi amate, meglio con loro stesse, trovare il proprio senso della vita. Fake. Anzi, Counterfeit. Non sapete quanto sono felice di non essere una persona del genere, ma esattamente l’opposto

+ Krill. Io non mangio pesce. Di nessun tipo. Nemmeno i crostacei o quello crudo. Faccio solo eccezione per il tonno in scatola e i bastoncini di pesce fritti. Che mi dicono non sapere di pesce, in effetti. Questo mi obbliga a fare una terapia integrativa di Omega 3 o comunque di tutte quelle sostanze che non ingerisco evitando il pescato. Tipicamente sono pastiglie di Krill. Il che mi fa sentire innanzi tutto una balena. L’effetto collaterale è l’incapacità di digerirle da parte del mio organismo, indi per cui avere sempre in bocca per almeno un paio d’ore un fastidiosissimo sapore di pesce. Forse me lo merito.

+ Vetro. Qualche giorno fa è piovuto un sasso dal nulla sul mio parabrezza. Non avevo nessun veicolo davanti quindi non riesco ancora a capacitarmi circa la sua provenienza. Il vetro si sta crepando di qualche millimetro al giorno sempre di più.Credetemi le pratiche per farselo sostituire hanno tempi biblici. Speriamo a breve di arrivare al dunque.

+ Brava Fabrics. Quasi per caso mi sono imbattuto in questo brand spagnolo. Stavo cercando delle camicie meno bragalone e più vicine al mio stile. Collo stretto, in alcuni casi all’italiana con bottone, ma in linea generale non troppo lunghe sul corpo. Da portare anche fuori dai pantaloni. Diciamo che ho praticamente rifatto la collezione nel guardaroba. Brava Fabrics è molto di più, infatti ho acquistato anche due maglioni e qualche altro capo. La storia del brand è molto interessante e l’etica che perseguono altrettanto.

After Life

Questo fine settimana ci siamo incollati alla TV per After Life.Una mini-serie scritta e prodotta da Ricky Gervais. Non ho mai seguito troppo Gervais, come attore non mi ha mai detto molto. Eppure in questa interpretazione al metà tra il cinico-pessimista e la riscoperta del sé e della bellezza della vita, l’ho apprezzato particolarmente.Dopo la morte della moglie la vita di Tony non ha più un senso. Senza la possibilità di condividere la felicità l’esistenza ha poco senso. Pensa costantemente al suicidio come piano B. Il piano A invece è essere completamente sinceri con il resto del mondo, dicendo e facendo qualsiasi cosa passi per la testa.Libero.Ed è proprio questa libertà a portarlo ad affrontare la sua paura più grande. Essere felice di nuovo con una persona differente dalla moglie appena deceduta.L’espressione di una personalità buona e gentile, incattivita dalla vita e dal dolore, reagisce nel modo migliore possibile grazie alle persone che lo circondano.Tra tanta TV spazzatura, After Life merita di essere visto.[embed]https://youtu.be/M\_YNU\_mhJvk\[/embed]

Written by Andrea Contino since 2009