Fare marketing rimanendo brave persone

Del libro di Giuseppe Morici mi porto a casa sia delle nuove idee su come trattare il mio lavoro quotidiano, sia accorgermi che perseguo la stessa volontà di narrare un brand attraverso i giusti tool a disposizione. O almeno mi sembra di farlo.Ho salvato questi due passaggi in chiusura del libro, si stagliano sopra tutti gli altri concetti per come si dovrebbe intendere questo mestiere, sia da chi lo fa quotidianamente, sia da chi dall’esterno spesso si sente il dovere di giudicare quando fatto.

Il marketing — se fatto bene, con onestà, con trasparenza e soprattutto con rispetto — è un’attività generativa di senso e di significati, a tratti persino meritoria forse, che aiuta le persone a vivere in un mondo più piacevole, perché fa loro conoscete le soluzioni utili per risolvere i loro problemi. Offre alle persone narrazioni, storie di marca, dalle quali le persone potranno, se vorranno, usufruire, godendone i valori e le emozioni, oppure semplicemente come fonte di intrattenimento.

Il marketing che ci piace — certamente — vende. Ma non vende tutto. Non a chiunque. E certamente non a tutti i costi. Il marketing che ci piace crea, ispira, ricorda, incanta, racconta, coinvolge, stimola, migliora. E soprattutto, nel più profondo rispetto del presente e del passato, si prende cura del futuro.

Mi permetto nel mio piccolo di voler aggiungere una sola postilla all’ottimo saggio, ricco di spunti ed esempi interessanti e snocciolati nella loro struttura.Per chi fa marketing, il proprio lavoro è estremamente agevolato se a monte esiste un prodotto eccellente. Mi spiego meglio. Apple ha una reputazione di alto livello anche grazie alla qualità del proprio prodotto, idem tanti brand che le persone amano e fruiscono quotidianamente. Non dico sia semplice raccontarli, ma si hanno molti più stimoli nel narrarli e trovare spunti creativi per presentarli al pubblico.Se la qualità della merce o del servizio offerto è scadente, povero nelle sue proprietà intrinseche, il mestiere di chi si occupa di marketing diventa estremamente difficile e potrebbe sfociare nella deriva che nel libro viene descritto come marketing cattivo.

Dieci

In dieci anni sono successe un sacco di cose. Ho lasciato e sono ritornato nella stessa azienda per ben tre volte, storie d’amore, ho visitato 18 Stati (alcuni più volte), ho fondato Fuorigio.co, due operazioni chirurgiche, ho intervistato sulla blogosfera con #WhyIBlog, conosciuto persone eccezionali e altre meno, visto la tecnologia esplodere in una escalation difficile da prevedere nel 2009, ho iniziato a postare una volta al giorno senza mai saltare dal 1° gennaio 2019.Oggi credo potrei chiedere davvero poco altro dalla vita, specialmente sapendo cosa ha in serbo per me il 2020.Se c’è una cosa che però non è cambiata mai è questo luogo.Non ho mai mirato alla gloria, non ho mai voluto diventare famoso o influencer e non ho mai inserito uno straccio di pubblicità o cookie qui dentro. Forse è anche per questo che le visite non sono mai esplose del tutto.All’inizio però con il blog mi sono anche divertito parecchio, non che adesso non sia un passatempo, ma sai, c’erano le blogfest, qualche azienda mi contattava per recensire i suoi prodotti o fare qualche attività carina, scrivevo con una media di tre post al giorno, e sembrava esserci una reale connessione tra chi scriveva, tanto da chiamarsi blogosfera. Tanto da portare qualcuno a chiamarsi blogger, a farla diventare una professione vera e propria.Poi qualcosa è cambiato.I blog non andavano più di moda, le persone si spostavano di piattaforma in piattaforma, a caccia di uno spazio dove meglio mostrare il proprio ego e finalmente esaudire i propri desideri voyeuristici: erano arrivati i social network.Con estremo ritardo rispetto al resto del mondo, anche qui le immagini e la consumazione snack di contenuti stabilì le sue fondamenta senza più andarsene. YouTube prima, Facebook e Instagram poi premiavano (e in alcuni casi ancora oggi) il contenuto veloce da consumare, che con poca fatica da parte di chi creava tanto quanto da quella di cui fruiva si andava online in pochi minuti.Una nuova élite.Dal canto mio non mi hanno mai interessato quelle derive, sia per motivi di approfondimento del contenuto, sia per avere completo controllo proprio su quel contenuto. Sono rimasto fedele alla mia home page, alla mia URL, insomma a dover aprire un browser e smanettare spesso di codice per restare al passo coi tempi.Come tante volte ho scritto, non penso cambierò mai questa mia convinzione, uno spazio personale, riconoscibile, scevro da incessante rumore di fondo, resta ancora oggi una preziosa casa dove rifugiarsi per raccontare qualcosa senza dover badar troppo ai dettami di metriche, like, follower etc.Se c’è una cosa che ho imparato in questi 10 anni è l’impossibilità delle altre piattaforme di fare altrettanto. E mentre altri come me amano rimanere ancorati a una pagina bianca con pochi altri ammennicoli al seguito, per conto mio non posso che chiudere dicendo grazie. Prendo spunto da un recente post di Om Malik.

As much as I love reading long magazine articles and books by the dozen, nothing makes me happier than thinking out loud on a blog. It is the easiest form of writing for me, and it allows me to fully capture what is going on in my mind (which, as you may have noticed, can be very random).

These days, it is popular to have a newsletter and a podcast — and I have those too — but for me, blogging is the future. If you like to read, come along. If not, it’s okay. I will be over here, just doing my thing. I am hoping to blog more frequently and to take a more traditional approach to blogging — links, photos, short posts, and long essays.

Scrivendo qui ho conosciuto meglio me stesso, ho superato sfide che pensavo di aver perso ancora prima di affrontarle, ho acquisito conoscenze ed esperienza indispensabili per il mio lavoro. Non fosse stato per il blog non avrei girato il mondo seguendo la mia passione per i videogiochi e la comunicazione. Non fosse stato per questa mia idea di voler condividere, forse non sarei l’uomo che sono oggi.Non so dire se ad oggi per chi si affaccia al potere della condivisione sia ancora il mezzo indicato, il potere delle immagini è imbattibile, d’altro canto reputo rimanga uno strumento indispensabile per conoscere e conoscersi.

I don’t see the blog as work, to me it’s more like a part of living

Esattamente.Fino al prossimo post.

The Game

Terminato The Game ammetto di non aver molto da commentare. Lo stile di Baricco è arzigogolato e pieno di iperboli linguistiche, ma molto facile da comprendere, coinvolgente e trascinante per chi ama la materia.Il fil rouge del testo è rappresentare internet e l’evoluzione tecnologica di questi ultimi 70 anni come un’escalation evolutiva innescata dall’avvento dei videogiochi. Sotto gli occhi di tutti, le dinamiche videoludiche si nascondono in ogni pertugio della rete eppure vengono ancora demonizzati per la troppa violenza o concause di catastrofi ed eccidi di massa provocati dall’uomo.Mi sono segnato alcuni passaggi per me interessanti e da portare con me nella costante esplorazione della connessione fra umani sia essa fisica od online.Il primo spunto parte proprio da qui. Ridurre, ma in senso positivo quindi sintetizzare, le nostre due nature in una sola in fondo. Quando leggete o vi parlano de “il popolo del web”, non siamo sempre noi? Non è sempre la stessa gente che incontrate per strada che semplicemente è tornata a casa ed ha acceso un device?

Attrezzare il mondo di una seconda forza motrice, immaginando che il flusso del reale potesse scorrere in un sistema sanguigno in cui due cuori pompavano armonicamente, uno accanto all’altro, uno correggendo l’altro, uno sostituendosi ritmicamente all’altro

Questa definizione di connessione costante, lo scollamento del nostro io dal nostro corpo per frammentarsi i tanti piccoli pezzi e ritrovarsi altrove, perso in un mondo composto da infinite derive è una narrazione forte, piena di significato utile a raccontare l’esperienza di ognuno di noi attraverso l’etere.Difficile non essersi sentiti almeno una volta così:

Incroci. Colleghi. Sovrapponi. Mescoli. Hai a disposizione cellule di realtà esposte in un modo semplice e velocemente usabile: ma non ti fermi a usarle, ti metti a LAVORARLE. Sono il risultato di un processo per così dire geologico, ma tu le usi come l’inizio di una reazione chimica. Colleghi punti per generare figure. Accosti luci lontanissime per ottenere lo forme che cerchi. Percorri velocemente distanze enormi e sviluppo geografie che non esistevano. Sovrapponi gerghi che non c’entravano nulla e ottieni lingue mai parlate. Dislochi te stesso in luoghi che non sono tuoi e vai a perderti lontano. Lasci rotolare le tue convinzioni su ogni piano inclinato che trovi e le vedi diventare confusamente idee. Manipoli suoni facendoli viaggiare dentro tutte le loro possibilità e scopri la fatica di ricomporli poi di nuovo in un suono compiuto, forse addirittura bello; fai lo stesso con le immagini. Disegni concetti che sono traiettorie, armonie che sono asimmetriche, edifici che disegnano spazi in tempi diversi. Costruisci e distruggi, e ancora costruisci, e poi di nuovo distruggi, in continuazione. Ti servono solo velocità, superficialità, energia.

Infine, un ultimo tratteggio di quello che personalmente ho interpretato come il fenomeno di questi ultimi 10 anni. Gl influencer. Siano essi blogger, youtuber, instagrammer etc. etc., sono tipicamente quelli che hanno compreso prima di tutti gli altri le potenzialità di una piattaforma non dal punto di vista puramente tecnologico, ma dal punto di vista narrativo. Hanno visto prima degli altri come utilizzarla nel modo corretto per trasformare una propria narrazione in una sorta di potere, monetario o di follower, d’opinione o lavorativo. Indubbio dire che siano stati in grado di formare un’élite.Quanto e come si evolverà dipenderà soltanto da quale sarà la prossima piattaforma.

Non tutti sono uguali davanti al Game, alcuni giocano meglio altri peggio, e quelli che giocano meglio finiscono per condizionare il resto del tavolo da gioco, a rigirarlo come fa comodo a loro, a diventarne in certo modo i sorveglianti, o almeno i primi player, diventando qualcosa che possiamo tranquillamente chiamare col suo nome, per quanto adesso ci sembri sorprendente: diventano un’élite.

Dai Sardegna ingrana la quarta

Beato Te Milano 🍕

L’amore per la pizza porta in lidi lontani. Talvolta trovi quella perfetta in luoghi sconosciuti, altre volte tramite il consiglio di un amico. Beato Te Milano arriva alle mie orecchie tramite un collega che me ne decanta la digeribilità e la possibilità di scegliere tra tanti impasti differenti.Dopo un anno, su per giù, finalmente domenica scorsa ho provveduto a soddisfare la mia sete di conoscenza.Non me ne vogliano gli abitanti di Lorenteggio, ma diciamo per chi come me arriva dalla provincia est di Milano non è proprio alla mano, ma complice la settimana entrante di ferragosto in 35 minuti di tangenziale semi deserta ci siamo arrivati agevolmente.Il locale è davvero spazioso disposto su più livelli. All’entrata una schiera di camerieri che nemmeno all’Apple Store, tutti gentili e pronti a salutarti e accoglierti.Rispetto a tante pizzerie non c’è una lista infinita di pizze. Il menu viene suddiviso in due, pizze normali e pizze gourmet. Io ho puntato sulla seconda categoria ordinando Il Bel Paese con impasto di Kamut.Già…gli impasti. Ce ne sono 10 tra cui scegliere e varrebbe la pena tornarci solo per provarli tutti. Per me la prova del 9 per giudicare un impasto di una pizza consumata per cena è la notte. Se si passa la nottata rigirandosi per il gonfiore e per quella sensazione di dover partorire la pizza da un momento all’altro, allora non è un posto da frequentare più.Devo ammettere invece che, nonostante il bendidìo schiaffato ad ornamento della mia pizza, l’impasto è risultato croccante e morbido allo stesso tempo, un equilibrio necessario per poter affrontare le guarnizioni senza sovrastarle.Consiglio di prenotare, soprattutto nei weekend, perché sempre molto sold-out. Ci ritornerò senz’altro per provare altri sapori e altri impasti, intrigante quello al carbone e quello al mais. Non è la pizza migliore che abbia mai mangiato, ma sicuramente è un sì pieno e deciso.Beato Te MilanoVia Sant’Anatalone, 16, 20147 Milano MI★★★☆

La contaminazione fa sempre bene

Il post di Gianluca di questa settimana verteva su tre modi per rimanere competitivi in un mercato aggressivo e un po’ troppo copione.A me piace soprattutto la seconda modalità, riportata per comodità qui sotto:

La seconda consiste nell’importare qualcosa di già esistente, ma da un altro settore. Uno dei miei crucci esistenziali è che in tanti settori gli head hunter cacciano sempre nello stesso recinto, catturando prede che hanno visto solo un ambiente e un tipo di cibo, che ha imparato i comportamenti dai sui consimili fin dalla tenera età lavorativa. Questo è un handicap fatale. E invece i modelli di business, di filiera, di pricing, di advertising dovrebbero essere ibridati.

I settori, come i secoli, sono creazioni umane artificiali, che non hanno corrispondenza diretta nella mente del consumatore. I mezzi di contatto hanno visto crollare i prezzi per arrivare al consumatore. I mezzi di consegna stanno seguendo la stessa strada. Ibridazione è la via. La consanguineità porta all’estinzione, anche nel marketing. “Come sarebbe il vostro zampirone se lo facesse Apple?” (Se non sapete cos’è uno zampirone non siete padani, beati voi)

Questo tipo di contaminazione la vivo quotidianamente al lavoro, il mio team è formato prettamente da figure provenienti da settori differenti dal quale oggi ci troviamo ad operare. Oltre al bagaglio di soft skill di ognuno di noi, il percorso professionale e la iper specializzazione delle nostre competenze fa sì che potremmo saltare da un settore ad un altro senza dover per forza soffrire di misplacement o sentire di operare out-of-contest.La contaminazione in linea generale fa sempre bene, rinnova settori spesso vetusti e morti d’abitudini consolidate e del così fan tutti. La cosa davvero importante è che chi contamina deve saperlo fare talvolta senza dover badare troppo al competitor diretto e alla folla rincorsa del — ah ma se l’hanno fatto gli altri, dobbiamo farlo anche noi — ma cercare di differenziarsi per poter stabilire nuovi standard a cui nessuno aveva pensato prima.Senza dover disturbare per forza Jobs, è però tremendamente vero che le persone non sanno cosa vogliono finché non glielo si piazza davanti agli occhi. E sono fermamente convinto che se prodotti o servizi innovativi hanno dalla loro la cura e la passione, doverose per poter sopravvivere, partono con un vantaggio competitivo non indifferente: l’effetto sorpresa.

Cambiare tecnologia

In questi giorni ho davvero tanto tempo da riempire con tutta la multimedialità possibile che vi venga in mente.Sono finito in un vortice di thread su twitter sulla pericolosità degli strumenti che siamo abituati ad utilizzare online ormai da una decina d’anni e più.Non vanno più bene, non sono più sicuri, la nostra vita è in pericolo. Gmail da sostituire, Dropbox men che meno, il tuo CMS non ti indicizza più e quindi va sostituito, per non parlare dei dati personali e quindi devi spostare tutto immediatamente e affidarli ad una start-up estone. E così per tanti altri servizi.C’è però che l’abitudine è una brutta bestia e la comodità da essa derivata ancora di più. C’è che sono incensurato, pago le tasse e non ho segreti di stato da nascondere a nessuno e di certo quanto mi è più caro e importante non lo salvo su nessuno di questi servizi e ove necessario prendo tutte le dovute precauzioni del caso (cambio password spesso, 2-step verification etc.). Pertanto continuerò ad utilizzare quelli che meglio rispondono alle mie esigenze prendendo le dovute precauzioni, ma evitando di farmi spaventare più del dovuto.Sinceramente rinunciare a tutto ciò per paura di essere targettizato, spiato o quant’altro ha gran parte di verità, ma è altrettanto vero che l’allarmismo è spesso e volentieri esponenzialmente amplificato senza una tangibile ragione.Il furto di identità e dei dati online è spesso e volentieri colpa dell’utente stesso e questo il più delle volte è dovuto dalla scarsa educazione digitale. Non può purtroppo essere una giustificazione e piuttosto di dover andare a cercare con il lanternino soluzioni alternative riguardanti la privacy e tutte queste menate, basterebbe porre la dovuta attenzione ai tanti settings a disposizione di account che già utilizziamo quotidianamente.Io ci ho anche provato a spostare questo blog altrove, a cambiare provider di email, a passare da Safari ad altri browser, ma non ho più voglia di dover re-imparare tutto daccapo. Piuttosto “spreco” il mio tempo nell’aggiustare i miei profili attuali, cercando di limitare i danni.

Spazi pubblici vs privati

I dettagli scontati

L’organizzazione di un evento, qualsiasi esso sia, è come diventare direttore d’orchestra.Non solo devi avere la capacità di far suonare all’unisono tutti gli elementi coinvolti, ma devi avere “l’orecchio” per interpretare immediatamente se qualcuno stecca, se qualcuno va troppo veloce o rallenta.Il più delle volte chi non fa parte dell’organizzazione, o non conosce ciò di cui ti stai occupando è il primo a fare due cose:

  • giudicare
  • voler metterci bocca

La fatica è far comprendere il nascosto, l’attenzione anche al minimo dettaglio è essenziale. E la maggior parte di quei dettagli sono invisibili, scontati agli occhi di chi vi partecipa. Ma senza di essi, gli eventi, non sarebbero gli stessi, o sarebbero ricordati quasi essenzialmente per gli aspetti negativi di cosa non ha funzionato.Ormai gli standard settati sono molto elevati e le aspettative anche. Per questo motivo è sempre più difficile stupire e lasciare un ricordo.Instillarlo nei partecipanti è tanto complesso quanto la riuscita dell’evento stesso.È un po’ come un grande piatto preparato da uno chef. Che sia stellato o meno il preparativo richiede ingredienti di qualità che combinati insieme possono essere discretamente normali, ma se trattati diversamente dal solito possono creare un successo inatteso.Per le papille gustative dell’ospite è giubilo, senza dover conoscere necessariamente la lista della spesa, per chi sta dietro le quinte la capacità di potersi ripetere e innalzare costantemente la qualità.Benché inimmaginabili ai più, metter a fattor comune la fatica, la complessità, l’empatia necessarie, tirando fuori il meglio da tutti, rimane per me il solo metro di misura del successo.Tutte il resto, per la maggior parte incontrollabile, non può rientrare nel conteggio.

Social detox

Written by Andrea Contino since 2009