20 anni di blog

Questo ricordo di averlo notato molto presto, perché in quel periodo scrivevo su qualche rivistina e la differenza mi saltava agli occhi. Non c’è nulla che si aggrappa alla memoria come la grafica di una vecchia rivista che nel frattempo ha fatto quattro restyling ed è irriconoscibile.

Ecco coi blog non è così; ogni volta che cambi la grafica, anche i vecchi pezzi vengono riformattati con quella nuova. Succede qualcosa di simile ai nostri ricordi, credo; è quello che li rende così poco attendibili rispetto ai documenti tangibili, le foto e le vecchie riviste.

Se avessi almeno salvato qualche screenshot, ma no, niente, mi vergognavo a pensare che ne sarebbe valsa la pena. Da un punto di vista meramente estetico no, non valeva la pena.

Il blog di Leonardo compie 20 anni. Sorrido al pensiero che in questo post celebrativo parli soprattutto della veste grafica, di cui gli è importato veramente poco nel corso del tempo, rispetto al vero cuore del suo blog: i contenuti.

Lunga vita RSS Feed

Reasons Why I Love My RSSFeeds

  1. Everything is in chronological order.
  2. I can skip over articles I’m not interested in.
  3. I can mark all articles read if I wish.
  4. The only stuff that is hidden is the stuff that I want hidden. (I use filters in Inoreader for this.)
  5. If I want to reread something, I just select All Articles instead of Unread Articles and scroll back to find it.
  6. There’s nothing else between posts — no adverts, no suggestions, nothing.
  7. Readability view means that I can read articles the way I want to, rather than the way a web-designer wants me to.
  8. If I want to move to a different RSS service, I can export my feeds as an OPML file and use that elsewhere.
  9. I can share links to articles however I wish.
  10. My attention is under my control, not controlled by others.

Paterson

Mi sono ri-abbonato al NY Times. 2 euro al mese. Una sciocchezza se confrontato con il paywall e la spazzatura di alcuni quotidiani online italiani. Tra i primi articoli letti c’è stato quello sui migliori film consigliati su Amazon Prime Video.

Abbiamo iniziato ieri sera guardando Paterson.Sulle prime mi è rimasto solo un grosso punto di domanda stampato in faccia, dopo alcuni minuti ho unito i puntini. Come fa John Williams in Stoner, ti accorgi quanto sia complicato raccontare la quotidianità e farla diventare interessante, porre gli accenti sulle giuste piccole cose da cui trarre il significato del tutto.È un film elogio alla poesia, all’arte di creare, all’ispirazione ordinata proveniente da schemi di cui il film è pieno (l’ordinarietà delle giornate, alla creatività della moglie di Paterson, Laura, intrisa di simmetrie geometriche), così come al disordine creativo disseminato nella quotidianità di tutti pronto per essere ordinato in qualsiasi forma espressiva l’artista è intenzionato a personalizzarlo.Vi invito a leggervi anche la recensione proprio del Times, da cui riporto la citazione qui di seguito, perfetta per arricchire l’angolazione giusta dalla quale guardare e interpretare quanto appena visto.A me è piaciuto molto, soprattutto perché è intriso di argomentazioni umanistiche su cui amo riflettere. Una su tutte: Paterson vive alla stra-grande senza bisogno di avere un cellulare. Con i suoi libri e le sue creazioni.★★★☆

A similar progression – from the basic to the rhapsodic, the material to the transcendent – happens in “Paterson” as days pass, details accumulate, and words turn into poetry, one line at a time. Things happen to Paterson – he has a rough Friday and Saturday, though a better Sunday – but Mr. Jarmusch doesn’t turn problems into drama. Life is enough. Instead, with visual precision and emotional restraint – and aided by Mr. Driver’s tamped-down, sober and gently endearing performance – Mr. Jarmusch creates that rarest portrait of the artist: the one who’s happy being hard at work.

Review: In Jim Jarmusch’s ‘Paterson,’ a Meditative Flow of Words Into Poetry - The New York Times (nytimes.com)

Caro futuro me, ti scrivo

Il servizio FutureMe e come ricordarsi di ricordare.

Nella mia interminabile lista di difetti posiziono ai primi posti la smemoratezza. O meglio, sono affetto da memoria selettiva. Mi rendo conto di ricordami solo ciò che la mia mente ha deciso, per i fatti suoi ovviamente, di ritenere importante immagazzinare per buttare via tutto il resto.Come se fosse un hard disk costantemente pieno che debba fare spazio a cose più importanti, eliminando i file meno utilizzati e i ricordi mai aperti.

Photo by Fredy Jacob on Unsplash

Per darvi l’idea, quando mia moglie si è trasferita da me qualche anno fa abbiamo razionalizzato gli spazi occupati selvaggiamente come qualsiasi altro uomo single in casa propria farebbe. Ancora oggi vado a cercare gli oggetti dove li avevo sistemati originariamente 10 anni fa e non nella loro nuova ubicazione che dura ormai da quasi tre anni.Se mi chiedi cosa ho mangiato 3 giorni fa non me lo ricordo, se mi sforzo di ricordare il nome di qualcuno non ne parliamo, ma cosa peggiore quando dimentico di fare qualcosa di estremamente importante a cui ho pensato mentalmente con tanta intensità fino a pochi minuti prima.Negli anni ho ovviato con svariate soluzioni. Al lavoro si traduce in appuntarmi qualsiasi cosa mi debba ricordare, ho la scrivania invasa di post-it con la to-do list imminente.Mentre nella vita di tutti i giorni il calendario del telefono è il mio piccolo aiutante di babbo natale. Per i compleanni imposto le notifiche molto presto al mattino così da avere su schermo appena mi sveglio, per altre cose ho adottato un approccio più soft con l’esatto minuto in cui devo ricordarmi quella particolare azione.Insomma, bene o male sopravvivo e non manco mai nessun appuntamento. Questa premessa è stata utile per raccontarvi di FutureMe. Si tratta di una piattaforma di messaggistica che permette di inviare email a 1, 3 o 5 anni di distanza oppure una data qualsiasi a piacimento. È un servizio datato, del quale avevo scordato l’esistenza. Salvo ricevere oggi un’email che mi ricordava di compilare la mia annuale lettera al mio futuro me.Ho fatto log-in con le credenziali salvate su 1Password e il suggerimento del mio browser mi ha fatto presagire di averlo già utilizzato. Entrato mi sono trovato davanti ciò che sospettavo, esattamente 1 anno fa ho inviato un’email al mio futuro me e che riceverò tra 4 anni. Ho tentato invano di provare a leggere quanto scritto, ma so solo di aver composto 34 parole.

Sono minuti che penso a cosa io abbia potuto scrivere a me stesso, in 34 parole immagino non molto. La sola cosa in cui la mia memoria è stata utile è il ricordo che questo tipo di servizio non è nuovo, è un’idea scopiazzata da uno spot di Google Chrome di qualche anno fa riproposto qui sotto. Quindi FutureMe non fa nulla di originale, se non postporre un’email a te stesso. Un friendly reminder. Per ricorare a te stesso che non ricordi un cazzo.

Meglio condividere o soddisfare Google?

So, why did blogging evolve into endless essays? Why did the humble link post die out on most sites? Why are people scared to share great links in simple ways on their sites? Why did the generalists with good taste mostly disappear to social media? Why did we lose the spirit of 1996?

Most writers started writing to please the search engines (later just one search engine). To feed the beast, more “original” content was needed. The sharing moved to social media and got lost with the ephemera. Writers burned out producing longer and longer posts for ad pennies over trust and community.

Forse mi sono spostato su Medium anche per questo motivo. Cercare di fare “Rete” e non nel senso di Grillo e del M5S, ma fare rete per condividere idee, pensieri e riflessioni.La vera natura dei blog così come li abbiamo imparati a conoscere, almeno qui in Italia dal 2000 in avanti.Come scrivevo un paio di giorni fa, non mi importa più badare al contorno, ma al sodo, al contenuto, e per farlo ho bisogno delle idee del mondo, di altre persone che mi aiutino a riflettere e far prendere forma al mio pensiero, riversandolo qui dentro.Il più delle volte sono blog, ne sono affamato, ne sono in costante ricerca per arricchire il mio feed reader di contenuti in grado di accendere la mia scintilla. Ultimamente è sempre più raro, ma per fortuna sono in tanti a non mollare la presa. A scrivere per sé stessi e per lettori immaginari, evitando di badare troppo alla posizione SERP.

Come salvare spazio su Xbox Series X|S

Con questo trucco si libera spazio dall’SSD e si continua a giocare

Sulla coda lunga dei trick che nessuno conosce e nemmeno Microsoft esplicita apertamente (vedi il post sul controller Xbox di Lorenzo), oggi sono a parlarvi di come salvare spazio sulla vostra Xbox Series X o Xbox Series S.Così come per PlayStation 5, anche le nuove ammiraglie di casa Microsoft montano un nuovissimo e sfavillante disco SSD ma con pochissimo spazio disponibile. Parliamo di poco più di 600GB per Series X e quasi 400GB per Series S.Un bel problema, soprattutto se iscritti a Game Pass e si ha voglia di giocare a tanti giochi contemporaneamente. I giochi di ultima generazione, quelli che hanno il logo X|S in basso a sinistra sulla vostra dashboard, la maggioranza delle volte necessitano di risiedere nella memoria interna o sulla Seagate Expansion Card della vostra console. Questo perché pronti a sfruttare tutte le potenzialità grafiche e del disco, ma soprattutto ottimizzati al meglio per le architetture delle due nuove arrivate.Tuttavia ci sono dei giochi che benché riportino X|S sull’icona gioco e quindi ottimizzati per le nuove console, sono stati sviluppati per girare bene anche su Xbox One, Xbox One X e Xbox One S. Questi ultimi possono essere spostati tranquillamente anche su un hard disk esterno collegato alla vostra nuova console tramite una delle porte USB.

Come fare a riconoscere i giochi che possono essere avviati su hard disk?

Se nella terza riga c’è scritto Durango, allora quel gioco può essere avviato su un qualsiasi HDD esterno collegato via USB. Un esempio pratico è quello di Halo: MCC, un gioco di oltre 100GB che può risiedere ed essere giocato su un hard disk esterno senza nessun tipo di problema.

La mia è tecnica è tenere su disco interno e sulla Seagate i giochi che sto giocando attualmente, mentre su HDD tutti quei giochi “Durango” più tutti quelli che ho in backlog e che prima o poi vorrò giocare. Una volta finiti i primi, sposto gli ultimi internamente così da velocizzare anche le operazioni di caricamento.Come organizzate le vostre memorie interne?

Readng

No, non ho sbagliato il titolo. È il nome di una neonata app per il tracking e la scoperta di libri. Sulla scia di goodreads, ormai l’ombra di un sito anni ’90, e dell’anonimo anobii che ha cambiato più proprietari di Yahoo!, Readng sembra voler dare una botta di freschezza al circolino delle app di tracciamento di lettura.Seppur ancora acerbo, in pochi minuti ho completato l’import di quanto tracciato su goodreads, e ha a disposizione un’intera sezione di richieste aperte per migliorare costantemente il servizio in base al feedback e idee proposti dagli utenti. Il che lascia ben sperare per il futuro del servizio.Al momento mi sembra un po’ scarna l’integrazione per ricercare nuovi amici, di fatti per ora è solo su invito. Ma credo l’intento sia proprio quello di creare una piattaforma di nicchia, lontana dalle dinamiche social attuali, evitando qualsiasi integrazione di sorta.Al momento ho a disposizione tre inviti, se avete voglia di testarlo, commentate qui sotto 👇🏻.

Readng

Prova a prendermi

La disintermediazione della TV tradizionale nel trasmettere le nostre tanto amate serie fiction e non ha radici lontane. Più precisamente con l’arrivo di Lost nel 2004. Con esso la massiccia diffusione della pirateria, certo, ma fu il primo segnale molto di chiaro di come potessimo fare a meno della televisione come significato e ne avessimo bisogno sempre più come significante.Qualsiasi schermo da quel momento in avanti sarebbe andato bene per trasmettere il nostro show preferito, non importava dove, non importava quando. Importava poter schiacciare Play da qualche parte e godersi lo spettacolo.Oggi l’esperienza di fruizione è diventata “seamless”, senza soluzione di continuità passiamo dal tablet sul gabinetto, allo smartphone sulla metropolitana all’app sul 55'’ del salotto con un paio di clic siamo proiettati dentro in un infinito mondo di storie tagliate su misura.Una lunghissima coda dentro la quale trovare un sottobosco di produzioni dove è sempre più raro pescare qualche piccola gemma, vedasi The Kominsky Method e Modern Love, e dove finalmente mi è chiaro il motivo per cui non esisterà mai uno Spotify per le Serie TV. Un contenitore dove trovare tutto, ma proprio tutto va contro le logiche di spremitura sino all’ultima goccia di un prodotto che è peggio del maiale.Non si butta via niente, mai. Cobra Kai nasce su YouTube e adesso ce lo ritroviamo su Netflix, The Office esce dal catalogo Amazon ed entra in quello di Disney+, Power da Sky a STARZPLAY. Insomma avete capito la logica. Se non stai attento la serie che stavi seguendo fino a poco tempo fa magari ha pubblicato la nuova stagione altrove e si rischia di non ritrovarcisi più.Grazie alle condivisioni degli account non posso lamentarmi più di tanto, ma a conti fatti abbiamo all’attivo un discreto numero di servizi streaming: Netflix, Now TV, Prime Video, STARZPLAY, Apple TV+, Disney+. Spesso per seguire una manciata di uscite o poco più, ma al giorno d’oggi o fai così, o sei in attesa nella speranza quel contenuto venga acquistato dalla piattaforma dove hai deciso di stabilirti.Commodity, bollette come quelle di luce e gas, indispensabili per elevarsi almeno un pochino al di sopra del palinsesto spazzatura delle tv pubbliche e commerciali italiane.

No, WhatsApp non condividerà i tuoi dati personali

Con l’aggiornamento di ieri molti di voi avranno notato questa schermata alla riapertura di WhatsApp. Ove sostanzialmente si deve accettare ora o nel mese di febbraio dove sarà obbligatorio farlo.Prendere o lasciare il servizio per sempre.Ed è iniziato il classico bailamme mediatico. WhatsApp cattivo condivide con le altre aziende del gruppo le nostre informazioni personali per mostrarci pubblicità contestuale su Facebook.

I dati che verranno condivisi con Facebook saranno i nomi, le foto di profilo, gli aggiornamenti di stato, i numeri di telefono, gli elenchi dei contatti, gli indirizzi IP, le informazioni tecniche sul proprio dispositivo come marca e modello, versione di sistema operativo e operatore telefonico; se interagiscono con aziende tramite WhatsApp, Facebook riceverà gli indirizzi postali di spedizione e gli importi spesi in acquisti.

E via a citare i consigli di Elon Musk. La stessa Signal che ammette rallentamenti per i troppi nuovi iscritti e i siti di tecnologia al galoppo per consigliare app alternative.

Purtroppo solo poche testate online hanno segnalato che queste modifiche non saranno attive in Europa, e per quanto mi scocci Corriere.it è una di queste:

Intervenuto sulla questione, un portavoce di WhatsApp ha precisato: “ Non ci sono modifiche alle modalità di condivisione dei dati di WhatsApp nella Regione europea (incluso il Regno Unito) derivanti dall’aggiornamento dei Termini di servizio e dall’Informativa sulla privacy. WhatsApp non condivide i dati degli utenti WhatsApp dell’area europea con Facebook allo scopo di consentire a Facebook di utilizzare tali dati per migliorare i propri prodotti o le proprie pubblicità”.

Questo perché, a quanto riporta una nota divulgata dalla piattaforma, “se in futuro dovessimo scegliere di condividere tali dati con le società di Facebook a questo scopo, lo faremo solo dopo aver raggiunto un accordo con la Commissione irlandese per la protezione dei dati ( WhatsApp Ireland è infatti l’entità che fornisce il servizio agli utenti europei, ndr) su un meccanismo futuro che consenta tale utilizzo”.

Tradotto: per il momento WhatsApp non condividerà le informazioni degli utenti con Facebook a scopo pubblicitario. Intanto, però, ha chiesto loro l’autorizzazione (obbligatoria), anche per consentire agli account Business una più agevole gestione delle conversazioni tra le due piattaforme.

Per il momento, quindi, calma e sangue freddo. E per lunghe che siano le FAQ e i documenti di policy è sempre tutto dettagliato lì dentro.Ho avuto sempre un costante rapporto di amore/odio nei confronti di WhatsApp, ma volente o nolente mi ritrovo costretto ad utilizzarlo per motivi lavorativi e di vita privata. Non foss’altro l’app di messaggistica istantanea più diffusa sul pianeta.Prediligo Telegram come alternativa, benché si appresti anch’essa ad essere invasa da contenuti pubblicitari o abbia qualche problema di privacy nella condivisione della geolocalizzazione. Tuttavia ancora a meno di WhatsApp non si può fare.Vedremo in futuro se queste modifiche ai termini privacy arriveranno anche nell’Unione, a quel punto ci sarà da domandarsi se migrare definitivamente su alternative più attente a quanto l’utente sia disposto a condividere di sé.Update 15 gennaio: Il blog di WhatsApp chiarisce la situazione, come appunto avevo anticipato.WhatsApp si fonda su un concetto semplice: tutto ciò che condividi con familiari e amici rimane tra voi. Questo significa che continueremo a proteggere le tue conversazioni personali con la crittografia end-to-end. Grazie a questa misura di sicurezza, né WhatsApp né Facebook possono vedere i tuoi messaggi privati. Ed è per questo motivo che non teniamo traccia delle persone che chiami o a cui invii messaggi. WhatsApp non può nemmeno vedere la posizione da te condivisa e non condivide i tuoi contatti con Facebook.

La Molisana. Una storiaccia per chi non vuol andare oltre al titolo

Pasta e comunicazione. Due argomenti su cui sento di poter dire qualcosa. Una storiaccia. Il giusto vezzeggiativo per l’ennesima bolla di sapone intrisa di ignoranza, odio represso e facilissima attività di acchiappa like. Ovvio, sulle prime chi non si sarebbe indignato e fermato al titolo. Come ormai l’80% delle persone fa.Uniti i puntini si sarebbe facilmente saliti sul carro dei puntatori di indici verso l’apologia al fascismo. Ma sarebbe bastato spendere quei pochi minuti in più per aprire un mondo storico a fondamento di tutto. Attenzione, non giustificativo, ma esplicativo di quanto fatto da La Molisana così come da tante altre marche. Uno dei pochi a fare uno sforzo più lungo di un tweet è stato Gambero Rosso. E per fortuna.

Ora cosa succederà? Tutti i pastifici italiani cambieranno nome alle “tripoline” o l’ennesima ventata di perbenismo populista piccolo borghese svanirà con la stessa rapidità con cui è montata accontentandosi dello sfregio fatto all’azienda della famiglia Ferro? Beninteso: La Molisana fattura 150milioni ed ha le spalle piuttosto larghe; e magari alla fine guadagnerà perfino da questa storiaccia. Ma non tutte le realtà sono robuste, e non tutte le persone lo sono.

Quello che ci premeva sottolineare, al di là di questa vicenda specifica, è cosa riesce a generare oggi un post sui social se mirato come un fucile verso una singola realtà (o una singola persona) e se costruito per toccare determinate corde. Chi sarà il prossimo obbiettivo? Chi dileggiamo domani senza controllare, senza informarci, senza saperne nulla, senza approfondire, senza verificare?

Written by Andrea Contino since 2009