This is the 1st edition of People and Blogs, the series where I ask interesting people to talk about themselves and their blogs. Today we have Manton Reece and his blog, manton.org. Manton is the creator of the micro.blog platform and JSON Feed, an alternative format to the more traditional RSS and Atom.
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Manuel inizia una serie di post, People and Blogs, molto interessante fatta di interviste a blogger più o meno famosi che fanno parte della sua dieta mediatica. Il primo ad essere intervistato è Manton Reece, il papà di Micro.blog.
Vi consiglio di seguirla. Ogni venerdì ce n’è una e magari ci finirò dentro anche io molto presto. 😏
In short: it is probably a mistake, in the end, to ask software to improve our thinking. Even if you can rescue your attention from the acid bath of the internet; even if you can gather the most interesting data and observations into the app of your choosing; even if you revisit that data from time to time —this will not be enough. It might not even be worth trying.
The reason, sadly, is that thinking takes place in your brain. And thinking is an active pursuit —one that often happens when you are spending long stretches of time staring into space, then writing a bit, and then staring into space a bit more. It’s here here that the connections are made and the insights are formed. And it is a process that stubbornly resists automation.
Include le caratteristiche principali del controller wireless DualSense, tra cui grilletti adattivi e feedback aptico*. Il brillante schermo LCD da 8 pollici è in grado di offrire una risoluzione 1080p a 60 fps, per l’esperienza visiva ad alta definizione che ci si aspetta dai giochi di elevata qualità creati da sviluppatori di prim’ordine.
PlayStation Portal è il dispositivo perfetto per i gamer che potrebbero avere bisogno di condividere il TV in salotto o semplicemente di giocare ai giochi per PS5 in un’altra stanza. PlayStation Portal si connette in remoto alla PS5 tramite Wi-Fi**, così potrai passare rapidamente dalla PS5 a PlayStation Portal.
Finalmente si hanno maggiori informazioni su PlayStation Portal, il primo dispositivo di riproduzione remota per PlayStation 5. A livello hardware la notizia per me più interessante data durante la Summer Games Fest dello scorso giugno e spiegata meglio l’altro ieri da Sony a margine della gamescom.
PlayStation Portal remote player, il primo dispositivo di riproduzione remota dedicato di PlayStation
Il device si presenta come uno schermo incastonato tra due metà di un controller DualSense. A un prezzo di 219 euro, permette di giocare a qualsiasi gioco installato sulla propria PlayStation 5 (tranne quelli VR) attraverso la funzionalità di riproduzione remota. PlayStation Portal da quanto capisco funziona sia se utilizzato sulla WiFi della medesima rete locale, ma anche se ci dovesse trovare dall’altra parte del mondo con la propria PlayStation 5 adeguatamente connessa a casa propria.
La cosa più strana di tutte, visto che il device è capace di streammare, appunto, da remoto è l’assenza del supporto ai giochi riprodotti tramite lo streaming nel cloud di PlayStation Plus Premium.
Una mancanza piuttosto importante. Tant’è, questo tipo di utilizzo parla a videogiocatori come me. Nonostante l’esperienza da salotto rimanga quella più appagante, a volte mi trovo a giocare dal letto o dall’hotel in cui mi trovo con questo tipo di set-up ed avere un device nativo in grado di assolvere questo compito penso mi alleggerirebbe un pochettino il carico di trasporto.
Il prezzo sembra sufficientemente competitivo, mi domando quanto si diffonderà e quanti acquirenti lo confonderanno con una console portatile invece che un mero riproduttore di contenuti attraverso internet.
Isuledda, o più erroneamente chiamata Isola dei Gabbiani, è la culla di Porto Pollo. Questa lingua di sabbia nel nord della Sardegna che termina con istmo è uno dei miei posti del cuore e ben presto lo è diventato anche per Noemi.
Qui dove il vento sferza senza sosta, c’è la vita sospesa in cui tutto è possibile.
È una domanda genuina, piena di curiosità. Mi piacerebbe sapere tra chi utilizza smart watch se si è mai posto questa domanda. Se in effetti tracciare il proprio percorso di fitness, di battito cardiaco o qualsiasi altra cosa è mai servito realmente a qualcosa, ma soprattutto se ha inciso nel proprio cambio di comportamento.
Da oltre un anno ho abbandonato il mio Apple Watch. Da oltre un anno non ne ho mai sentito la mancanza. Anzi, a dire il vero ho smesso completamente di indossare orologi. E dire che una volta potevo annoverarli tra le mie passioni più grandi. Eppure ho smesso di badare troppo al tempo, funzione principale di un orologio ovviamente, ma soprattutto di avere l’affanno di tracciare tutta la mia vita. Non c’è un vero motivo per farlo, quindi perché dover sprecare tempo per farlo?
Lo spunto di questo post arriva da uno letto ieri:
I need an alarm. But here’s the thing: I know how I slept because I’m either rested, or I am not.
So, do I really need something to tell me how to feel?
Non è una critica, non è un monito per convincere gli indossatori di smart watch a doverli abbandonare da qualche parte. È solo interesse per comprendere se realmente vi è utile e vi siete posti la domanda corretta prima di acquistarne uno invece di voler apparire alla moda. La trappola in cui ero caduto io e da cui per fortuna sono uscito.
I think the reason why I’m preferring to write for my blog over social media, is that it’s a more biased relationship. It allows me to collect my thoughts, and then express them in whatever form I feel fits the content and context. And then if people want to reply in any way, they can do so via email, Mastodon, X, etc. But, at a slower pace, and also in any which way they feel relevant.
The real-time speed and perceived urgency of social media are reasons why I’ve stepped back from it a bit. So, if you’ve sent me a message online or by email, know that I’m probably not ignoring you. I either haven’t got around to reading it yet, or I haven’t yet found time to think and reply.
Mi sento abbastanza rappresentato da questo pensiero. Negli ultimi mesi ho testato a fondo Twitter Blue e le sue funzionalità, ho assistito al suo rebranding e diventare X, ma continuo ad utilizzarlo con costanza solo per restare aggiornato sul mondo gaming e calcio. Nient’altro. Ho saltato tra un’istanza e l’altra di Mastodon cercando di capirci qualcosa, talvolta sono finito in un marasma di spam, altre volte mi son sentito come la famosa particella di sodio. Instagram lo utilizzo prettamente per lavoro e per postare qualche storia rilevante per amici stretti. Avevo riposto grande fiducia in Threads, ma è stato limitato all’utilizzo da parte degli europei. Infine, dopo una prima fase in cui credevo fortemente potesse essere una valida alternative in cui nascere qualcosa di buono, BlueSky si è pian piano riempito di spammer e contenuti poco interessanti per me.
Ho guardato un po’ le statistiche di utilizzo sul mio telefono, forse poco veritiere visto che ho a disposizione una vastità di dispositivi con cui accedere, ma ho constatato come passo non più di 20 min al giorno su un qualsiasi social network. Mentre passo molto più tempo su Feedly a leggere blog e contenuti più interessanti.
Probabilmente sono giunto ad un punto dove la sovrabbondanza di contenuto, il rumore di fondo ingestibile e il senso smarrito di community (che ho ritrovato in parte su Discord) mi stanno facendo mal digerire la voglia di essere presente lì e continuare a investirci tempo.
Piuttosto scrivo qui. Rifletto meglio, ho lo stimolo di scoprire e approfondire, ma soprattutto la conversazione è sempre aperta.
I feel a sense of peace of mind here. Where social media feels like a busy commercial area, full of flashing lights and noise, this is more like a quiet home in a quiet neighborhood. All of these things are why I’m an advocate of owning your own webspace. Largely, because it’s your own webspace. Not Meta’s, not Twitter’s (or whatever the fuck they’ll call themself in 24 hours), nobody else. It’s yours. Own it.
Non mi ha stranito il nuovo logo, ma mi ha riempito di nostalgia non vedere più l’uccellino blu dopo così tanti anni campeggiare sulla home page (anch’essa cambiata in https://x.com).
Mi ha stupito di più la dichiarazione della nuova CEO, Linda Yaccarino. La volontà di fare di X un’app simil WeChat. Un’app univoca in cui fare tutto e da cui essere dipendenti da qui ai prossimi anni.
Essere una piazza globale non solo per la comunicazione, ma per i pagamenti, un marketplace di idee, servizi e opportunità. Attualmente la società è in perdita e i 44 miliardi di dollari spesi sembrano cenere al vento.
Sarà interessante capire se resisterà ai colpi del mercato e degli investitori pubblicitari scappati su altri lidi, come muterà pelle per provare ad esserci ancora nei prossimi anni. Sta di fatto che in questi 17 anni Twitter ha cambiato il modo in cui accediamo alle informazioni, di qualsiasi tipo, praticamente real-time. Ed è per questo che stiamo andando alla disperata ricerca di una valida alternativa. Perché nonostante lo spam, i comportamenti tossici e folli di qualsiasi tipo, resta un luogo unico in cui gran parte del pensiero del mondo accade in tempo reale.
Per ora non abbandenerò Twitt..errr X… Anche perché al di là del logo non è cambiato altro. Resterò spettatore di uno spettacolo triste in attesa di capirne la deriva.
Non so dire se Threads diventerà quel luogo, anche perché nel frattempo è stato bloccato in Europa fino a data da destinarsi, ma la ricerca di un nuovo lido è appena iniziata.
C’è stato un periodo durato alcuni mesi l’anno scorso in cui mi sono perduto a lungo nei video a tema produttività su YouTube. Sapete, quelli dove c’è un creator a mezzo busto intento a dirti quanto questa o quell’app abbia fatto al caso suo e che ormai senza di essa non potrebbe praticamente più vivere.
Sto parlando di Notion, Obsidian, Evernote e chi più ne ha più ne metta. Più o meno tutti i video parlano di second brain. Un cervello di scorta inserito in un foglio bianco? A me questa definizione ha sempre mandato ai matti. In senso buono s’intende. Perché mai avrei bisogno di un secondo cervello quando sono praticamente certo di non sapere ancora bene come usare appieno il mio?
Se cercate Second Brain su YouTube appariranno migliaia di video tutti simili tra loro
Una volta risvegliato dal torpore di quei video, zoom-out verso una considerazione disinteressata, mi si parava davanti con enorme chiarezza un enorme perché? Stavano usando queste app semplicemente per creare delle mappe concettuali della loro vita, creando connessioni sulle cose da fare, come ci si è sentiti in una determinata situazione o addirittura appuntarsi le frasi da dire al 180esimo appuntamento con la propria metà.
Questo non è avere un secondo cervello, ma non sapere gestire il proprio correttamente.
Innanzi tutto il tempo sprecato nel dover riversare concetti, nozioni e una miriade di altre inutilità per averle sempre a portata di mano, ma per farne poi cosa? Mi sono imbattuto in un paio di post che hanno riassunto meglio di me il concetto. Il primo:
The industry of creators that has sprung up around some of these companies, selling robo-mind-creator-preneur hope to people, who probably need just need vacations and/or medications, is disturbing — but expected.
“What we’re missing here is that most people have not saturated their first brain. Let’s focus on that first before we care about how we need to cybernetically augment that with another system.
This is what I see as the difference between serious thinkers and others. To saturate your primary brain is to actually spend time with information — to walk and think, and talk it through, and to bat it around, and test it out in different types of essays.
The effort to get your primary brain to be as sophisticated as possible can be a lifelong effort.
Digital tools are great for supporting the human brain. But I am a big believer that most of us are so far from getting the most out of our primary brain that it’s not really time to think about outsourcing thinking yet.”
Insomma, credo che nessuno dei creatori più prolifici al mondo abbia bisogno di un secondo cervello, ma un pezzo di carta o blocco note digitale su cui realizzare le proprie idee sia più che sufficiente.
Non conto le innumerevoli volte in cui ho spammato la mia personale visione di non abbandonare mai uno spazio tutto vostro. Una landing page dove ci siete voi, solo voi, il vostro testo e i vostri pensieri. Un luogo dove non avete dovuto cambiare posizione 100 volte per trovare il vostro angolo migliore per sottostare alle regole di questa o quella piattaforma, un luogo dove non avete paura di essere semplicemente voi, nonostante tutto.
Con Giovanni e Manuel sono in buona compagnia, ma so per certo esistere milioni di blog ancora sconosciuti e grazie ai quali potreste scoprire persone meravigliose.
Rinnovo ogni anno (più o meno) i suggerimenti su quali piattaforme alternative utilizzare, nel caso non sapeste proprio da dove iniziare o se le principali alternative sul mercato (WordPress, Ghost, Squarespace, Wix) non facciano per voi.
Ho fatto un po’ di scouting perché, Medium a parte, ho perso un po’ il grip sulle nuove opportunità. Ho chiesto su posts.cv, potete partire da qui:
Se avete altre piattaforme, scrivetemi pure, le aggiungerò. Altrimenti non avete più scuse per non provare a condividere chi siete. Non c’è bisogno di essere scrittori, ma se stessi.