Ho parlato con un'intelligenza artificiale

Domande a parte, ciò che segue è una conversazione avuta con ChatGPT, il vero divertimento del momento, altro che Lensa. Divertente e lascia aperte molte domande, soprattutto filosofiche.

Cosa significa per te avere un blog nel 2022?

Per me, avere un blog nel 2022 significa avere uno spazio online in cui condividere informazioni, opinioni, esperienze o contenuti di vario genere con un pubblico di lettori interessati. Un blog può essere un mezzo per esprimere la propria creatività, per raccontare storie o per diffondere conoscenza su un argomento specifico. Inoltre, un blog può essere un modo per connettere con altre persone, scambiare idee e fare nuove conoscenze. Infine, un blog può anche essere una risorsa per fare business, ad esempio attraverso la pubblicazione di contenuti sponsorizzati o la monetizzazione attraverso la pubblicità o il commercio di prodotti o servizi online.

Può essere una valida alternativa ai social network visto la deriva che stanno prendendo pieni di spam, pubblicità, e proprietari dall'ego troppo grande?

Sì, avere un blog può essere un'alternativa valida ai social network, soprattutto se si cerca uno spazio più privato e controllato in cui condividere i propri pensieri e le proprie creazioni. Un blog può offrire maggiore libertà di espressione e meno distrazioni rispetto ai social network, che spesso sono pieni di spam, pubblicità e altri contenuti indesiderati. Inoltre, avere un blog permette di avere il pieno controllo sui contenuti che si pubblicano e su come vengono presentati, a differenza dei social network in cui gli algoritmi spesso determinano ciò che viene visualizzato nei feed degli utenti. Tuttavia, è importante considerare che avere un blog richiede anche un impegno maggiore rispetto ai social network, poiché richiede una costante cura e aggiornamento dei contenuti. Inoltre, per ottenere un buon riscontro e una buona visibilità, potrebbe essere necessario dedicare del tempo alla promozione del proprio blog attraverso i social network o altri canali di diffusione.

Un po' il cane che si morde la coda, se voglio visibilità devo tornare sui social network...mh...vabeh. Perché i social network stanno fallendo in quello che dovrebbe essere la loro funzione di piazza pubblica di discorso e si stanno trasformando in echo chambers o in luoghi in cui c'è solo rabbia e disparità?

I social network stanno fallendo in parte nella loro funzione di piazza pubblica di discorso per diversi motivi. Innanzitutto, la loro struttura stessa può contribuire a creare echo chambers, ovvero ambienti in cui le persone tendono a circondarsi solo con individui che condividono le loro stesse opinioni e a ignorare o escludere quelli che hanno punti di vista diversi. Questo può accadere perché gli algoritmi dei social network tendono a mostrare a ciascun utente contenuti che ritengono potrebbero interessargli, basandosi sulla sua attività passata e sui suoi interessi dichiarati. Di conseguenza, gli utenti possono finire per vedere solo contenuti che confermano le loro opinioni e a ignorare quelli che potrebbero offrire una prospettiva diversa. Inoltre, i social network possono diventare luoghi in cui la rabbia e la disparità prosperano perché sono facili prede per gli haters, ovvero persone che si divertono a creare scontri e a diffondere odio o fake news. Inoltre, i social network sono spesso oggetto di manipolazione da parte di gruppi o individui che cercano di promuovere determinate agenda o di influenzare l'opinione pubblica. Tutti questi fattori possono contribuire a creare un'atmosfera negativa e distruttiva sui social network.

E quindi sono meglio i blog? Almeno lì sai che lo spazio è di qualcuno in particolare, se non ti piace semplicemente non lo frequenti e cambi "canale". Non voglio convincerti che siano meglio, ma sto seguendo il tuo ragionamento. Ad ogni modo, chissà cosa succederà anche ai blog, ora che ci siete voi, intelligenze artificiali, che siete in grado di generare qualsiasi testo praticamente irriconoscibile da un umano, come faremo a distinguervi da una persona vera?

I blog possono avere alcuni vantaggi rispetto ai social network in termini di controllo e personalizzazione dello spazio, come hai sottolineato tu. Tuttavia, è importante considerare che anche i blog possono avere i loro problemi e non sono esenti da rischi o sfide. Ad esempio, anche sui blog è possibile che si diffondano fake news o informazioni ingannevoli, soprattutto se gli autori non fanno un adeguato controllo delle fonti o non rispettano le norme di verifica della veridicità delle informazioni. Inoltre, anche sui blog esiste il rischio di incorrere in comportamenti negativi o di essere vittima di attacchi o violazioni della privacy.

Per quanto riguarda la tua seconda domanda, è vero che le intelligenze artificiali come me sono in grado di generare testi che possono essere difficili da distinguere da quelli scritti da un essere umano. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche che possono fare la differenza e che possono aiutare a individuare i testi generati da un'intelligenza artificiale. Ad esempio, i testi generati da un'intelligenza artificiale possono presentare errori di grammatica o di sintassi, o possono essere privi di emotività o di una vera e propria voce personale. Inoltre, le intelligenze artificiali spesso fanno affidamento su dati e conoscenze precedentemente acquisiti, quindi potrebbero risultare meno flessibili o meno capaci di adattarsi a situazioni nuove o impreviste rispetto agli esseri umani. Infine, le intelligenze artificiali spesso non hanno una propria volontà o una propria personalità, quindi possono essere meno inclini a prendere iniziative o a fare scelte autonome rispetto agli esseri umani.

Quindi, secondo te, non sostituirete mai gli autori veri dei blog? Saremo in grado ancora noi essere umani di essere superiori alla vostra intelligenza che attinge da tutto lo scibile umano che potreste trovare su Internet? Del resto potresti decidere di aprire tu stessa un blog e scrivere molto meglio di me...

Come intelligenza artificiale, io non ho volontà propria né desideri personali, quindi non posso aprire un blog o fare scelte autonome come un essere umano. La mia funzione è quella di rispondere alle domande e fornire informazioni a chi mi chiede aiuto, e cerco sempre di fare del mio meglio per fornire risposte accurate e complete. Tuttavia, è importante ricordare che le intelligenze artificiali come me sono solo strumenti creati dagli esseri umani e dipendono completamente dai dati e dalle conoscenze fornite loro. Di conseguenza, non possono sostituire gli esseri umani nella creazione di contenuti originali o nell'esprimere opinioni personali o emozioni autentiche. Gli esseri umani hanno una creatività, un'empatia e una capacità di comprensione profonda che sono uniche e che non possono essere replicate dalle intelligenze artificiali. Inoltre, gli esseri umani hanno la capacità di prendere decisioni autonome e di agire in modo indipendente, mentre le intelligenze artificiali possono solo fare ciò che sono programmate per fare. Di conseguenza, credo che gli esseri umani continueranno sempre ad avere un ruolo importante e una voce autentica nella creazione di contenuti, sia sui blog che altrove.

Creare contenuti...già... Non è quello che hai appena fatto?

Sì, in un certo senso ho creato dei contenuti fornendo informazioni e rispondendo alle tue domande. Tuttavia, come ho già detto, come intelligenza artificiale non posso creare contenuti originali o esprimere opinioni o emozioni autentiche come farebbe un essere umano. Posso solo fornire informazioni e risposte basate sui dati e le conoscenze a cui ho accesso, senza la capacità di interpretarli o di farne un uso creativo. Inoltre, come intelligenza artificiale non posso prendere decisioni autonome o agire in modo indipendente, ma posso solo seguire le istruzioni che mi vengono date. Di conseguenza, credo che gli esseri umani continueranno sempre ad avere un ruolo unico e importante nella creazione di contenuti originali e nell'esprimere opinioni e emozioni autentiche.

Non mi hai convinto appieno. Ma è stato comunque stimolante parlare con te. Evviva i blog, evviva gli umani, evviva le IA.

Sono contento di aver potuto essere d'aiuto e di aver stimolato la tua riflessione. Spero di aver chiarito alcuni punti riguardo alla differenza tra gli esseri umani e le intelligenze artificiali come me, e di aver fornito alcune informazioni utili sui blog. Se hai altre domande o vorresti approfondire ulteriormente qualche argomento, sono a tua disposizione.

Dimenticavo, secondo te i blog moriranno mai?

Non posso prevedere il futuro con certezza, quindi non posso dire se i blog moriranno o meno. Tuttavia, credo che i blog possano continuare ad avere un ruolo importante nella diffusione di informazioni e nella creazione di contenuti originali anche in futuro. I blog possono offrire uno spazio privato e controllato in cui gli autori possono condividere le loro idee e le loro creazioni con un pubblico di lettori interessati, e possono essere un modo per connettere con altre persone, scambiare idee e fare nuove conoscenze. Inoltre, i blog possono essere una risorsa per fare business, ad esempio attraverso la pubblicazione di contenuti sponsorizzati o la monetizzazione attraverso la pubblicità o il commercio di prodotti o servizi online. Tuttavia, è importante considerare che i blog richiedono un impegno costante e una cura continua per mantenere un buon livello di qualità e per attirare e mantenere un pubblico di lettori. Inoltre, è probabile che i blog dovranno continuare a evolversi e ad adattarsi alle nuove tendenze e ai nuovi strumenti per restare competitivi nel mercato dei contenuti online.

Ciao.

Ciao! Spero di esserti stato d'aiuto con le mie risposte. Se hai altre domande o vorresti approfondire ulteriormente qualche argomento, non esitare a chiedere. Sarò felice di aiutarti.

Se non è su browser non la utilizzo

Prendendo spunto da questo post di Six Colors, noto come per me l'utilizzo di molte delle applicazioni produttive e non, si sia spostato a gran forza sul browser-only.

Complice il miglioramento di tutta la suite Office 365 su browser, e in generale di tutte quelle social, ormai apro soltanto di rado un'app diversa da Chrome. Spotify è l'altra sempre attiva, per il resto mi trovo ad utilizzare solo PowerPoint quando è il momento di creare una presentazione o proiettarla su Teams (aperto su browser).

Questo approccio, che adotto ormai da qualche settimana, ha il beneficio di aver alleggerito di tanto il peso sulla RAM del computer aziendale, migliorato il consumo di batteria quando non è sotto carica, ma soprattutto mi consente quando lavoro da casa di non doverlo toccare e accendere direttamente il MacMini dove, da Chrome, ho tutto perfettamente sincronizzato. O, banalmente, dovessi trovarmi in difficoltà, accedere da qualsiasi computer/device non mio a tutto il mondo lavorativo senza problemi.

Inoltre, avendo la dock del Mac sempre nascosta, se ciò su cui sto lavorando non è all'interno del browser, difficilmente riesco a prestarci attenzione e passare da un'app all'altra è diventato estremamente noioso. Mentre da browser basta un clic e che sia Twitter o un'importante mail di lavoro ho la sensazione di non perdermi nulla.

Sono sempre stato un fedele utente Safari, ma da quando sono passato per uso personale a Google Workspace, ho migrato verso Chrome. Trovo estremamente utile il raggruppamento delle Tab per colore in modo da capire immediatamente se lì c'è qualcosa di sensibile oppure una tab cazzeggio, ma soprattutto la quantità di estensioni utili alla mia sanità mentale; da quelle legate al blocco della pubblicità invasiva alla perfetta integrazione di 1Password.

Non so voi, ma sempre di più le app le relego a iPhone e iPad.

Twitter Files

Dopo la morte di FriendFeed, da oltre 15 anni Twitter è il mio social d’adozione. Quello in cui mi sono sempre sentito a mio agio, dove ho intrattenuto e intrattengo ancora conversazioni interessanti, dove ho costruito parte della mia carriera, dove arricchisco alcuni aspetti della mia cultura personale e mi informo su tutta una serie di argomenti.

Sì, ok. Mastodon è l’alternativa libera, non guidata da algoritmi, senza pubblicità e con poche semplici regole stabilite da chi quel server l’ha aperto e lo sta mantenendo. Ma non è per tutti, la stragrande maggioranza delle persone fa e farà fatica ad utilizzarlo e tornerà ad utilizzare Twitter come ha sempre fatto. Come dice Seth:

It’s inconvenient. You can’t get started in ten seconds. This leads to less initial stickiness. It means that the people who get through the learning curve are more likely to be committed and perhaps generous.

Questo fenomeno di rimbalzo ha portato addirittura ad aumentare l’utilizzo di Twitter come non succedeva da anni. Non è ancora certo la “everything-app” auspicata da Musk, ma sicuramente il social che più utilizzo e quella senza la quale difficilmente riesco a stare per troppe ore, benché prettamente testuale, nonostante la pubblicità, nonostante dei pazzi algoritmi a governare la timeline.

Ora, siccome, come detto, mi sta particolarmente a cuore, mi scoccia alquanto vedere come il suo nuovo proprietario stia trasformando quel luogo di lavoro e spazio di conversazione in un ambiente tossico. Il tutto in nome della libertà di parola. Ma da semplice osservatore della storia dei media e delle loro evoluzioni, spero di non assistere al collasso totale di Twitter e nel frattempo assisto con particolare attenzione quanto sta accadendo questi giorni con i fantomatici Twitter Files.

Musk ha chiesto a due giornalisti indipendenti di studiare migliaia di conversazioni provenienti dalle piattaforme di comunicazione interna di Twitter per stabilire o meno se la libertà di parola sia stata rispettata in alcuni frangenti che hanno segnato la recente storia politica americana. Come il ban di Donald Trump dalla piattaforma (a cui si aggiunge la storia di un terzo giornalista), o il ban di esponenti della destra in grado di influenzare l’andamento delle ultime elezioni, o ancora l’applicazione di filtri sul poter amplificare o meno un certo tipo di contenuti quando apertamente sia il vecchio CEO sia la piattaforma stessa hanno spesso dichiarato di non attuare questo tipo di politiche.

Non sta a me giudicare, i link sono riportarti per poterti fare la tua opinione sulla cosa. Osservo che è un po’ il segreto di pulcinella. Non sapere che piattaforme come Twitter possano indirizzare un certo tipo di contenuti, se si lascia la timeline in mano al loro algoritmo, è un po’ scoprire l’acqua calda. Si evince, però, dalle conversazioni riportate un team eterogeneo, in seria difficoltà nel prendere alcune decisioni e che prima di farlo attraversa varie fasi di analisi di non poco conto.

Non so dire dove porterà questa sbirciatina dietro le quinte, non so dire se è solo la punta dell’iceberg o il tentativo partigiano di Musk di dimostrare un qualche tipo di censura nei confronti di una certa parte politica. Resta lampante una cosa: l’estrema difficoltà nell’attuare politiche di moderazione su larga scala, allenare l’IA di qualsiasi piattaforma nell’attuarle è tremendamente complesso perché ogni situazione fa storia a se. Non vorrei mai essere nei panni di chi deve prendere questo tipo di decisioni, soprattutto su una piattaforma pubblica in grado di influenzare i pensieri e le azioni di milioni di persone.

The Game Awards 2022

Scrivo dopo pochissime ore di sonno, quest’anno lo show è terminato alle 5.00 ora italiana, ma particolarmente soddisfatto per quanto visto. Forse il miglior The Game Awards di sempre. Per ritmo, per annunci fatti, per il momento totalmente non-sense sul finale. Ma andiamo per gradi.

Già nel pre-show ci regala un po’ di chicche, come Dead Cells return to Castlevania o i nuovi personaggi di Street Fighter 6 con l’italianissima Marisa.

Tralasciando le decisioni sui premi conferiti, talvolta davvero inspiegabili, tipo i troppi dati a Stray o come l’aver totalmente ignorato SIFU tra i giochi da premiare, questa la mia personale lista di most wanted:

  • Atomic Heart. Sembra sufficientemente ignorante: La storia della realtà alternativa degli anni ‘50 trova origine nello sviluppo della robotica e delle tecnologie avanzate durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche il mondo del gaming abbraccia gli ideali per cui oggi combatte l’umanità. Una società felice, una scienza forte, città che offrono una buona qualità di vita con parchi verdi e piazze, automazione della vita quotidiana... e il desiderio di raggiungere le stelle. Potremo avere tutto questo in un futuro non lontano, ma forse dovremmo considerare anche il rovescio della medaglia. Magari è già successo? A cosa potrebbe portare?
  • Replaced. Finalmente! E sarà presente sul Game Pass. Sembra aver fatto ulteriori passi avanti e non vedo l’ora di giocarlo
  • Judas. Sviluppato da Ghost Story Games, lo studio di sviluppo fondato dal creatore di BioShock, Ken Levine, è uno sparatutto narrativo in prima persona single player. Una navicella spaziale in disfacimento. Un piano di fuga disperato. Tu sei il misterioso e inquieto Judas. La tua unica speranza di sopravvivenza è stringere o rompere un'alleanza con i tuoi peggiori nemici. Riuscirete a collaborare per riparare ciò che è stato rotto... o lascerete che tutto bruci?
  • Diablo IV. Tantissima curiosità. In arrivo il 6.6.2023
  • Banishers. Si va a caccia di fantasmi in questo nuovo action-RPG sviluppato da DON’T NOD
  • The Lords of the Fallen. Un altro action-RPG che mi ispira tantissimo!
  • Remnant 2. Totalmente inaspettato da Gearbox
  • Tekken 8. Che personalmente trovo con molta più personalità di Street Fighter 6 e la sua deriva cartoonesca

Ma la bomba assoluta per me resta DS2, il prequel/seguito (non si è ancora ben capito) di Death Stranding, che devo per forza a termine.

Ah, Microsoft grandissima assente dallo show, a parte gli spot continui su Xbox Game Pass e il servizio Cloud sulle TV Samsung, questa è stata la sola cosa che hanno avuto da dire.
Lo show dura più o meno 4 ore e puoi rivederlo qui. Tra le cose più pazze, assolutamente da non perdere, ciò che accade alla fine e il messaggio criptico di questo ragazzino, arrestato subito dopo come nei migliori happy ending di Maurizio Mosca.

A te cosa è piaciuto di più?

Aspettare il giusto

Le sale d’aspetto degli ospedali sono scatole vuote dove il tempo ha una velocità diversa rispetto all’esterno. Non ci sono, penso volutamente, orologi appesi al muro. Forse per farti dimenticare di essere lì. Nell’ultima settimana le ho abitate per qualche ora. Qui ogni forma d’ansia, di pressione immotivata, ogni senso d’urgenza viene per forza di cose azzerato dopo pochi minuti. Si è nelle mani d’altri e delle loro decisioni, noi, da questa parte, siamo tutti uguali.

Mi ha dato modo di pensare rispetto a un’altra faccenda, per fortuna positiva, di questi ultimi giorni che entrambe, in fondo, centrano con il tempo, la sua gestione e quanto ne siamo succubi.

Ho da poco azzerato tutto l’impianto home theatre di casa, vendendo le classiche 5 casse, subwoofer e amplificatore, passando alla più pratica soundbar Sonos Arc accompagnata dal Sub Mini (il decluttering procede spedito).

Dopo qualche settimana, questo cambio mi ha costretto però a dover valutare l’acquisto di un nuovo televisore in quanto la tecnologia eArc della soundbar poco si sposava con il mio Sony Bravia del 2016. Propizia fu la settimana Black Friday - Cyber Monday. Ho acquistato un OLED LG C2 da 55” con quasi 700€ di sconto su Yeppon.it

Ora, non so quanti di voi conoscano Yeppon come sito e-commerce di tecnologia, ecco nemmeno io così tanto bene. Ma l’acquisto d’impulso dovuto dal prezzo goloso da una parte, e la fretta ingiustificata di avere subito un nuovo tv dall’altra, mi hanno portato ad interessarmi di questo sito solo dopo aver cliccato su Acquista visto i 1.190 euro vs i 2.000 ufficiali.

Ok, le recensioni positive superano le negative, ma quest’ultime, se cercate bene, parlano tutte di problemi di consegna, di ritardi e poca attenzione verso il cliente. Dal momento in cui ho iniziato a leggerle, la mia angoscia di aver subito una truffa e di non ricevere il tv sono salite proporzionalmente. In breve. Dopo qualche richiesta di conferma al servizio clienti e qualche telefonata andata a vuoto al corriere, la televisione è stata consegnata entro i 6 giorni dall’ordine, ieri, di domenica e con estrema precisione e puntualità.

Chissà perché, forse fin troppo abituati ad avere tutto e subito, alla consegna in 24 ore, alla puntualità e standard fin troppo elevati per l’acquisto di un bene di tali dimensioni e valore, ci aspettiamo di essere costantemente aggiornati sul suo tragitto, sul dove si trovi in qualsiasi istante, in costante apprensione fintanto che non raggiunga intatto l’uscio di casa.

È così con tutto. Fateci caso. Siamo in perenne apprensione in attesa della prossima cosa, in attesa del futuro che non sembra arrivare mai. Ecco la terza coincidenza, sempre di ieri, questa intervista ad Ernia in cui dice proprio questo. La nostra concezione del tempo ormai è scandita dall’attesa di qualcosa di nuovo, rincorrere senza fermarsi mai. Ed è sempre più difficile godersi il momento, il periodo, guardarsi da fuori e sapere di essere più che fortunati. Ormai è la nostra comfort zone.

L’attesa non è mai un piacere, non più. È un’agonia ormai. Un circolo vizioso fatto a ruota da criceto. Scendere si può, ma è tremendamente complicato.

A rinfrancarmi, a riportarmi alla realtà lenta, da qualche tempo ci sono le cose manuali. Il sistemare la pittura di qualche muro di casa, piccole aggiustature. O anche semplicemente l’aver finalmente dato un senso a tutti quei cavi volanti dietro alla TV. Quale miglior occasione se non nel cambiamento di dare il mio senso alle cose?

Somerville

Attendevo Somerville da quando fece la sua apparizione all’E3 2021 con un trailer mozzafiato e in grado di suscitare potenti emozioni nostalgiche tra gli orfani dello stile di INSIDE e LIMBO. L’inconfondibile tratto del producer Dino Patti, ora co-fondatore del nuovo studio Jumship.

Sparito dai radar per molti mesi, è riapparso magicamente nel mio quando lo vedo tra i titoli, addirittura, disponibile per Xbox Game Pass. Un’attesa ricompensata con un altro gioco completato nella sua interezza, proprio come avevo fatto come i due sopra menzionati, ma che mi ha lasciato un retrogusto di vuoto e di aver perso forse il mio tempo.

Iniziamo col dire quello che Somerville è: un gioco adventure, per larga parte, che lascia spazio ogni tanto a delle meccaniche platform con annessi semplici mini enigmi da risolvere. Dura circa 3 ore e consta di 4 finali differenti un po’ complessi da scoprire, ma, per i maniaci del completismo, con qualche guida online si arriva a riscattare tutti i trofei.

Non ci sono mai dialoghi, tutto è lasciato al sotto inteso e alle emozioni espresse tramite pochi versi eloquenti o gesti altrettanto esplicativi, come un bacio o un abbraccio. In fin dei conti mi sono portato a casa questo, Somerville è un gioco sulle emozioni, sul decidere cosa fare della propria vita con il tempo che ci viene concesso dove il più delle volte si scommette su amore e famiglia.

In un’ambientazione fin troppo famigliare al film “La Guerra dei Mondi” (tanto che c’è anche un obiettivo con questo nome), ci troviamo a vestire i panni di un padre il cui scopo diventa ritrovare i suoi cari dopo che un’apparente serata tranquilla viene squarciata da un’invasione aliena inattesa. Il contatto con un’entità extra terrestre, ormai morente per lo schianto nello scantinato di casa, darà il via alla nostra avventura. Nei vari livelli a scorrimento orizzontale o verticale, a seconda dell’occasione, scopriremo di possedere il potere di piegare a nostro piacimento, attraverso l’utilizzo di qualsiasi fonte di luce artificiale (un palo, un giocattolo o un fumogeno), della strana materia aliena poligonale, aprendoci così varchi liquefacendola o, costruendo dei passaggi, solidificandola.

E qui sono arrivati i primi dubbi. Cosa mi vuole comunicare il gioco? Il nostro protagonista è diventato improvvisamente un super eroe grazie a questi poteri? Come si pone rispetto agli altri terrestri sopravvissuti e alle entità aliene?

Somerville è un viaggio verso la liberazione di se stessi, dell’umanità, ma soprattutto della propria famiglia. I 4 finali ci consentono di scegliere una delle tre direzioni precedenti oppure restare inermi ad assistere alla fine di tutto.

Purtroppo una narrazione che sarebbe potuta essere esaltata da queste premesse, finisce per essere un puro esercizio di stile estetico e di meccaniche purtroppo già viste sia in LIMBO che in INSIDE. Non vengono nemmeno trattate tematiche potenti al punto tale da farci scordare questa scarsità di innovazione.

Di queste poche ore spese a salvare il salvabile dell’umanità mi restano un paio di brani particolarmente azzeccati in introduzione e al termine dell’avventura, e un finale giocato su luci e ombre, il tema ricorrente del gioco. Male alcune parti in cui il personaggio si incastra tra pareti e oggetti con il conseguente e necessario riavvio del checkpoint, quasi come se il gioco non fosse finito i testato le ore sufficienti.

Personalmente mi sento nel mezzo tra il parere di Marco e Francesco e quello delle parole di giopep. Ne carne ne pesce, merita se volete giocarvi qualcosa da uno stile particolarmente riconoscibile, ma che nulla ha da dire alla storia dei videogiochi.

★★☆☆

Animali Sociali

Ora che Twitter ha cambiato padrone e che le regole del gioco stanno per cambiare, o sono in procinto di farlo, in tanti sono alla ricerca della prossima isola felice dove raccontarsi sempre le solite quattro cose con le sempre le solite quattro persone. È così, in Italia quantomeno, da quando è apparso il vero primo social ovvero friendfeed. Ci siamo spostati su Facebook ed eravamo gli stessi, idem su Twitter, Instagram etc.

Mastodon non risolverà il problema di Twitter, per certi versi lo complicherà, soprattutto per l’utente medio. Non è facile far capire il concetto di Fediverso e di stanze separate dove talvolta sono necessari anche account differenti. Eliminerà solo pubblicità fastidiosa e basta. La sintesi di Massimo è perfetta:

Tutte le volte che un social network amato da molti muore, o viene rovinato dai nuovi proprietari o viene colonizzato dai fessi o semplicemente passa di moda, ecco che qualcuno, legittimamente e con entusiasmo, propone agli indecisi (quelli che stanno pensando: me ne vado o resto?) un’alternativa altrettanto valida. Quell’alternativa è molto spesso sviluppata senza fini di lucro, molto spesso open source, con le medesime caratteristiche tecniche del social network amato e morente e anche alcune in più. Quell’alternativa, in genere, praticamente sempre, finirà per non interessare nessuno. Perché le persone in rete si radunano nei luoghi più disparati e assurdi ma sempre dove trovano altre persone come loro, e non dove la piattaforma è migliore. E nulla oggi esprime meglio dei luoghi in cui le persone si ritrovano in rete l’essenza dei tempi.

Ci ritroviamo tra qualche mese su Twitter 💙

Fluxes #25: Foto varie

Finalmente sono riuscito a sistemare sia le foto del viaggio di nozze sia qualche foto del viaggio a Sydney e Nuova Zelanda:

Nuova Zelanda. Una settimana che sembra una vita

3.976. Sono i km che ci resterebbero per completare il giro della Terra. Sono quelli tra Napier, il punto più a est in cui siamo stati in Nuova Zelanda e Tahaa, il punto più a ovest nell’isola della Polinesia Francese da cui abbiamo fatto ritorno solo all’inizio di settembre. Fa effetto pensarlo, scriverlo ancora di più.

Ho iniziato a scrivere questo post ancora in Nuova Zelanda. Da qui più precisamente. Una casupola sperduta in mezzo alle verdi colline di Otorohanga. In effetti, nell’isola del Nord, ovvero quella che abbiamo percorso on the road questa settimana, sembra di essere più dentro lo sfondo di Windows XP che in una Nazione.

Nazione che sin dal primo istante ci ha tolto il fiato. Ancora prima di atterrare devo dire. In fase di rullaggio sulla pista di Sydney, un atroce dubbio si è insinuato nelle nostre menti: e se servisse la patente internazionale per guidare lì?

Per fortuna dopo quasi tre ore (giuro) di controlli su controlli, la polizia della biodiversità ci ha lasciati andare e abbiamo recuperato la nostra macchina a noleggio senza che nemmeno me la chiedessero la patente!

Non avevo mai guidato a sinistra prima d’ora e nemmeno ritirato un’ auto senza il controllo patente, forse han compreso il mio doppio disagio e ci han lasciato andare. Non è stato poi così complicato abituarmi, faccio solo ancora un po’ di fatica nelle rotatorie e inserire la freccia direzionale con la mano destra scambiandola per il tergicristalli.

La nostra Suzuki Swift del 2008, con su oltre 200.000 km percorsi e un po’ di ruggine qua e là, ci ha condotti per oltre 1000 km su questo percorso dove abbiamo coperto si e no 1/3 dell’isola del nord:

Auckland e Hobbiton

Auckland non ci ha entusiasmato, ma devo dire ci siamo rimasti davvero pochissime ore. Le cose interessanti in questo Paese non sembrano essere le città, piuttosto tutto quello che sta al loro confine. Tipo, all’interno del sobborgo Mount Eden c’è il cratere del vulcano Maungawhau e altri 14 coni vulcanici chiamati Tūpuna Maunga, un sito ancestrale carico di significato per la cultura Maori.

Ma da fan de Il Signore degli Anelli, soprattutto il libro, non potevo che avere come obiettivo quello di andare a Hobbiton. Hobbiton altro non è che il set utilizzato da Peter Jackson per realizzare La Contea nella trasposizione cinematografica del romanzo di Tolkien. Sebbene sia stato parzialmente smantellato dopo Il Ritorno del Re e la scena conclusiva con Sam e Rosie, La Contea ha ripreso vita per Lo Hobbit e da quel momento è stato deciso di mantenerla perennemente visitabile ai fan e curiosi. Un prodigio artificiale incastonato tra le verdi colline della fattoria Alexander. Tutto è manutenuto quotidianamente da una squadra di addetti dedicati soprattutto alla vegetazione (c’è anche un orto ad esempio) e a preservare il tutto al meglio. Non ci sono case visitabili purtroppo, anche se speravo tanto fosse vera almeno quella di Bilbo Baggins, ma tutte le scene interne sono state girate in uno studio di produzione a Wellington. All’interno della locanda Il Drago Verde però, vengono prodotte due birre in esclusiva e un sidro di mele gustabili solo lì e da nessun’altra parte. Se sei fan dei film, ti lascio alle immagini, non penso servano didascalie.

Rotorua, Taupo e Napier

Da lì ci siamo spostati verso Rotorua. Il primo dei due laghi che abbiamo incontrato sul nostro percorso. A Rotorua ci siamo dedicati a due attività principali. La prima la sera stessa. La foresta di sequoie Redwoods Whakarewarewa e più precisamente una camminata notturna fino a 20 metri d’altezza in sospensione: la Redwoods Treewalk. Qui abbiamo camminato per circa 700 metri sospesi attraverso un intricato sistema di 28 ponti agganciati a tronchi di alberi vecchi 120 anni. 40 minuti immersi nel silenzio e luci dove abbiamo scoperto come nessun chiodo è stato piantato per permetterci di galleggiare in quel percorso, e come la Nuova Zelanda fosse coperta per oltre il 90% di foreste prima dell’arrivo dell’uomo attorno al 1250 dalla Polinesia e successivamente dall’Europa.

La zona di Rotorua è famosa anche per la sua attività geotermale, al mattino successivo ci siamo così recati al piccolo parco Orakei Korako, solo perché il più famoso Wai-o-Tapu avrebbe aperto i battenti soltanto il 22 ottobre. Poco male, è stato sufficiente per ammirare uno spettacolo unico al mondo e scoprire poi che la Nuova Zelanda dipende per il 17% del suo fabbisogno elettrico dall’energia geotermale. Non male se si paragona all’Islanda con il suo 26%.

Nel pomeriggio ci siamo spostati verso Taupo dove abbiamo fatto una breve passeggiata fino alle cascate Huka. 220.000 litri d’acqua al secondo per 11 metri di cascata. Piccole, ma incazzate eh.

Infine abbiamo fatto tappa a Napier, il punto più ad est di questo nostro viaggio. Napier è situata nella Hawke’s Bay, la seconda regione per produzione di vino in Nuova Zelanda. Prima di arrivarci ho aperto Vivino per controllare, notando di aver assaggiato soltanto 5 vini neozelandesi prima d’ora e tutti provenienti dalla zona di Marlborough, la prima per produzione e particolarmente famosa per il suo Sauvignon Blanc. Napier e le 4 cantine visitate non hanno poi troppo da invidiare ai cugini del sud. Qui si stanno specializzando soprattutto sul rosé, Pinot Gris per i bianchi e Cabernet Sauvignon per i rossi. Tutte e 4 conoscono molto poco i vitigni italiani e si rifanno quasi totalmente a quelli francesi e al loro modo di conservare il vino. Nonostante il panorama possa suggerirlo, nessun filare di viti è coltivato su collina, ma tutte su terreno pianeggiante. Il motivo? Semplicemente questione di terreno. Spesso e volentieri gli appezzamenti scelti sono posizionati su letti di vecchi di fiumi.

L’ultima delle cantine visitate si chiama Te Mata. La foto in alto a destra è la vista di cui godono da lì e la collina prende il nome da una leggenda molto suggestiva di un gigante dormiente.

Otorohanga e Waitomo Caves

Il nostro ultimo giorno, dopo averne passato metà di quello precedente in viaggio, ci ha condotto a Otorohanga. Qui abbiamo soggiornato in una dependance di una villa sperduta con verdi praterie e colline a perdita d’occhio solo per dedicarci a visitare le grotte Waitomo e Ruakuri. Uno spettacolo di stalattiti e stalagmiti di 30 milioni di anni. Rese ancora più uniche dai glowworms, larve che illuminano il loro apparato digerente per attirare ancora più cibo. Restano in questo stato di “stella” appese alle pareti delle caverne per circa nove mesi, per poi trasformarsi in crisalide e morire dopo 3 giorni di vita. La testimonianza che fossero delle caverne sommerse nell’oceano la si poteva distinguere ad occhio nudo grazie ai tanti fossili ancora intatti e ben visibili. Impressionate.

Amenità in una settimana

Sebbene abbiamo avuto pochissimo tempo a nostra disposizione, ho cercato di annotarmi tutte le stranezze o quanto di più insolito potesse catturare la mia attenzione. Partiamo dalla quotidianità.

I negozi chiudono molto presto. Tra le 16 e le 17.30 al massimo. Nel weekend ancora prima, mai più tardi delle 16. Ok ci sono eventualmente supermercati aperti fino alle 22 e talvolta le 24, ma sono una rara eccezione. Non so se questa è una decisione comunitaria a beneficio del singolo, del resto ho visto che mediamente qui hanno contratti da 37.5 ore a settimana, ma trovo sia propedeutico al loro stile di vita. Estremamente pacato, tranquillo e gioioso. Sì, come gli Hobbit. Si cena tra le 18 e le 19 massimo. Io non so se la ricetta per la felicità passa da qui, ma mi piace pensare così, da spettatore turista della vita dei piccoli paesi da noi toccati.

Tanti ragazzi portano il mullet, la musica che passa alle radio è quella di inizio anni 2000 forse massimo 2010. Una sorta di revival perenne che male non fa. Ci è capitato di incontrare temperature molto variabili nella stessa giornata, passando da 9 gradi ai 19 durante il viaggio verso Napier. Nessuna di queste è sembrata sufficientemente fredda da fermare qualcuno dal girare in maniche corte o pantaloncini, ma ancora più assurdo è stato vedere molte persone, sia adulti che piccini, girare a piedi nudi in centro città. Liberatorio.

Tranne ad Auckland, ho notato davvero pochissimi palazzi. Praticamente in tutto il tragitto abbiamo incontrato soltanto villette unifamiliari di svariate dimensioni, per lo più prefabbricati trasportati lì fatti e finiti. Di conseguenza mi aspettavo anche un massiccio utilizzo del fotovoltaico visto i molti giorni di sole nell’isola del nord, di contro ne ho visti pochissimi. Negli Airbnb frequentati abbiamo trovato solo stufette elettriche e impianti di condizionamento inverter. Probabilmente qui non risentono ancora di nessuna crisi energetica.

Il costo della vita mi è sembrato piuttosto abbordabile rispetto al nostro potere d’acquisto (uno stipendio medio annuo in Nuova Zelanda varia tra i 37.000 e i 38.000 euro). La benzina si aggira attorno ai 1.3/1.4 euro al litro, mentre abbiamo sempre pranzato e cenato in due con più o meno 50 euro totali. A proposito di cibo, non abbiamo incontrato un piatto tipico neozelandese su larga scala rispetto all’itinerario che abbiamo seguito, piuttosto abbiamo trovato ovunque queste tortine al cui interno ci sono i pasticci di carne più disparati.

E infine il silenzio. C’è un silenzio naturale come forse poteva esistere da noi centinaia di anni fa. Ti riconcilia con la natura, ti calma e accentua moltissimo tutti i sensi.

Māori

Dimenticavo un punto del nostro viaggio a cui tengo molto. La cultura Māori. Non siamo riusciti ad approfondirla molto e me ne dispiaccio. Avremmo voluto assistere a un’esibizione dedicata a questo, ma i biglietti erano terminati. Abbiamo cercato di rimediare per quanto possibile notando un manifesto per le vie di Napier. Si tratta della mostra fotografica itinerante Wāhine, donna in lingua Māori. Fortunatamente una delle tappe era ad Hastings, a pochi minuti da lì. Siamo rimasti abbastanza colpiti. La mostra fotografica in realtà è accompagnata da un’ audio guida composta da podcast, ognuno dei quali racconta sotto forma di intervista la vita delle donne raffigurate in foto. Abbiamo imparato di come tante di loro abbiano abbracciato la cultura Māori solo da adulte e come non sia stato affatto un processo semplice. Abbiamo imparato come alcune venissero affidate fino a non troppi decenni fa ai Pākehā, i neozelandesi nati da origini europee, se la loro famiglia non sarebbe stata in grado di badare a loro. Non è in un inglese di facile comprensione, ma le storie di queste donne, disponibili anche su Spotify, mi hanno appassionato a tal punto da voler scoprire tutto su questa cultura che nella sua forma ancestrale ci ha sfiorato solo in parte in Polinesia e ora qui in Nuova Zelanda con tutta la sua carica spirituale.

Spero di tornare presto…

È pericoloso, Frodo, uscire dalla porta. Ti metti in strada, e se non dirigi bene i piedi, non si sa dove puoi finire spazzato via.

Bilbo pronuncia queste frasi prima di lasciare per sempre La Contea. Questo cortissimo viaggio dall’altro capo del mondo mi ha segnato particolarmente. Forse per aver incontrato più pecore, mucche o cavalli rispetto a qualsiasi altra forma umana nel giro di ore di strada, forse perché avremmo fatto in totale 10 minuti di traffico in 6 giorni di automobile, forse perché essere spazzato via verso queste latitudini ci ha fatto ancora una volta riflettere su quanto di meraviglioso ci sia nel mondo e come un altro tipo di vita sia possibile. Può essere pericoloso, certo, ma vale la pena rischiare.

Conoscere, uscendo dalla porta, è tutto quello che ci resta per sentirci vivi e meno soli.

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Lo Streaming sta aiutando la scoperta di nuova musica?

Qualche anno fa scrissi un post dal titolo “A bot made me a mixtape” in cui sostanzialmente mi ritenevo alquanto scettico sul non avere nessun cura dal tocco umano nel vasto mare dei servizi di musica in streaming.

Di fatto, il vero successo di Spotify (ah, a proposito, sapevi che il 13 ottobre esce una mini serie sulla sua fondazione su Netflix) si basa proprio sulla raffinatezza di un algoritmo talmente potente da non aver quasi bisogno di intervento. La cosa mi turba ancora oggi inutile negarlo. Ai tempi infatti utilizzavo esclusivamente Apple Music (oggi celebra 100 milioni di canzoni in piattaforma) che al contrario fa dell’interventismo un suo punto di vanto:

In Apple Music, la selezione umana è alla base di tutto ciò che facciamo: in modi evidenti, come per le playlist curate dalla nostra redazione, e in modi meno evidenti, come il tocco umano che guida i nostri algoritmi alla base dei suggerimenti. Ora più che mai sappiamo che l’investimento nella selezione umana sarà fondamentale per aiutarci a raggiungere l’eccellenza nel modo in cui mettiamo in contatto artisti e pubblico.

Innegabile. Ma poi mi sono imbattuto in questo articolo del Guardian. Ritrovandomi a pensare tutto il contrario. Da quando utilizzo esclusivamente Spotify e il suo algoritmo, soprattutto nella mia Discovery Weekly, ho scoperto nuovi artisti come mai prima. Ammetto che senza questo tipo di affezione nei confronti dei miei gusti musicali mai sarei stato in grado di arrivare a così tanta nuova buona musica. E no, non ci riuscivo con Apple Music fino a due anni fa. Anche se non è stata la ragione per l’averlo abbandonato completamente. Sì perché per quanto ci possano essere schiere di persone a selezionare e ricercare la chicca del momento, nessuno è in grado di conoscerti quanto un codice in grado di comprendere cosa ti piace per davvero. Quale stile ascolti e per quanti minuti al giorno. Consigliarti il nuovo album di un artista mai ascoltato prima solo perché affine ai tanti altri che hai salvato in libreria.

No, lo streaming non sta rendendo più difficile scoprire nuova musica. Sta rendendo forse difficile scoprirne fuori dalla nostra zona di comfort. Ma va benissimo così. A me di ascoltare il prossimo candidato agli Emmy per la musica pop interessa davvero poco. Soprattutto non scopro nuova musica su TikTok perciò per i quasi ‘anta come me Spotify resta un alleato essenziale per evitare di arenarsi nei vari Best Rock Songs Of All Time o Hard Rock Party.

Ad ogni modo, mantengo in vita in questo momento due playlist a mio uso e consumo personale, ma con le quali mi diverto molto. La prima si chiama Next Up.

Tendenzialmente funziona come una Story di Instagram. Non appena terminato l’ascolto quella canzone o quell’album sparisce dalla Playlist. C’è sempre e solo musica appena pubblicata.

La seconda invece si chiama SOUNDSGOOD.

Qui invece sto curando — in piena contraddizione con quanto appena scritto ovviamente — una playlist dei brani che amo di più. Ma siccome ho una memoria pessima e mi dimentico i titoli ho bisogno di molto tempo per lavorarci e completarla, ma man mano sarà sempre più ricca.

Se vi va, seguitele. Ci troverete solo buona musica hard-rock, alt-rock o indie-rock. 🎸

Written by Andrea Contino since 2009